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2022-12-13 Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer

 ·       Mi è piaciuto moltissimo, l'ho letto in fretta, sarebbe necessario rileggere. In genere non apprezzo i salti di tempo e di luogo, stavolta ho apprezzato il libro in tutte le sue parti, incluse le lettere che vanno e vengono. Mi sono piaciuti i due giovani, la loro simpatica amicizia che cresce. La scoperta dovrebbe essere di Jonathan ma anche Alex scopre cose che non conosceva. Al nonno, ricordo e rimorso, vengono tirate fuori cose che forse sperava di non dover far riemergere. Menzione d’onore infine per il traduttore, che mi fa desiderare di rileggere il libro in inglese.

·       Mi è piaciuto, l’ho trovato ipegnativo, denso, tante cose espresse tutte in modo diverso. Ad esempio è efficace il linguaggio di Alex, ha una profondità non raggiungibile altrimenti. Lettura da affrontare con impegno, bella da leggere e rileggere. In italiano normale non si sarebbe potuto esprimere così. Storia favolosa, ricorda Marquez. Le due sinagoghe, il carretto, sembrano storie inventate. Ci si perde dentro il libro, spezzoni di storia che stordisce. E poi la Storia, che è tragica, tuttavia narrata in una forma non così pesante. Libro delle tristezze, libro delle memorie, sono bellissimi, ma troppo intensi, non lasciano respiro. Molto bello, ma troppe cose messe insieme. Le avventure del nonno strampalate. Mix di ambienti e villaggi.

·       Libro faticoso, preferisco strutture lineari, complessità tale da non poterlo tenere in mano a lungo. Intrecci di storie surreali, grottesche e anche reali, stile non scorrevole, innovativo ma pesante. Libro fuori dagli schemi, mi ha destabilizzato. Rifiutato da dieci agenti letterari, l’autore stesso ha detto che non lo riscriverebbe. Mi ha preso il rapporto tra l’ingenuo e simpatico Alex e lo straniamento di Jonathan. Alex non sa nulla del nonno che non vuole portare gli occhiali e piangeva sempre, ma non per la moglie. Tema della memoria, che secondo l’autore dovrebbe servire a illuminare il presente. Paura di commettere gli stessi errori. Viaggio trasformativo, i ragazzi cambiati dall’esperienza, tutti più consapevoli. Pensiero ricorrente, la banalità del male. Ucraini ostili con gli ebrei, ma non lo vogliono vedere, a volte inconsapevoli. Lettura faticosa.

·       Libro bruttissimo nell’insieme, stupita dai commenti positivi, non lo consiglierei mai. L’americano finalmente comincia a interessarsi al paese, il ragazzo ucraino alla fine è maturato. Assurdo mescolare tutti questi elementi, salti temporali non consentono di capire, fuorviante. Non mi piacciono le storie inventate, mi è piaciuta invece la storia di Augustine, il vestito macchiato di lacrime. La memoria è caratteristica della popolazione ebraica, è giusto conservare la memoria, ma non aiuta, non serve a niente. Forse nella famiglia sì, nell’intera popolazione no. Perché ricordare tutto questo? Il film invece mi è piaciuto moltissimo, è un film di sentimenti, il cane e il nonno sono buffissimi.

·       Per me è stata una rilettura, nel libro ho ritrovato il ritaglio di una recensione di Citati dell’epoca. Avevo dimenticato quasi tutto, tranne il viaggio alla ricerca di Augustine, archivista di ciò che è stato possibile conservare. Ricordavo una struttura semplice, invece ora trovo tono e contenuti e salti temporali fuorvianti. Interessanti i rapporti tra i due ragazzi, ma non ben delineati. Episodio fondamentale, durante l’eccidio degli ebrei, la condanna a morte di un compagno da parte del nonno di Alex, per salvare sé e la moglie. Straordinaria la parte dell’eccidio. In una piccola comunità dove molti hanno una storia comune, c’è ricchezza identitaria. Straordinario come un ragazzo di venti anni riesca a mettere insieme tutto questo, dice Citati, e io sono d’accordo. Sono contento dello smarrimento iniziale, il libro è bellissimo, una miscela di farsa e tragedia.

 

Finito qui il contributo dei presenti. Quello che segue è un contributo che ci è giunto scritto, da parte di un lettore che ieri non è riuscito a partecipare. L’aspetto rilevante è il sovvertimento e la contaminazione fra generi letterari e codici: non è storico, ma si rifà a un evento di più di 300 anni fa, è/ non è saga familiare - ci sono lettere, ma non è epistolare, è di viaggio, on the road, ma con un auto e suoi occupanti inverosimili e luoghi solo in parte reali. In chiave sempre esplicitamente ambigua (vedi incipit del cap 1: “Trachim B. fu bloccato, o non lo fu, dal suo carro”). La confusione è accentuata dal gusto accumulatorio: “...strani relitti che venivano a galla: serpi girovaghe di lacci bianchi che venivano a galla...”. Stupenda immagine. C’è la costante giustapposizione di codici linguistici stridenti: dall’aulico desueto al volgare gergale. Insomma, una gran confusione voluta: quello che i critici chiamano ‘pastiche’ (quello per es. di Camilleri e, più complesso, di Gadda). Bravo il traduttore ma chi può, apprezzerebbe con più gusto l’originale. La figura più riuscita è il nonno, stizzoso e capriccioso senza inibizioni come molti veri vecchi: esilarante - da teatro - in molte situazioni, per esempio in hotel.  Insomma: libro prolisso, fluviale, circonvoluto, faticoso, ma con spezzoni di grande godimento. Postille: il fiume Brod è po’ il fil-rouge della narrazione: ritorna alla fine con i corpi degli uccisi dalle bombe (bombardamenti con tocchi più che mai barocchi). Un altro filo conduttore sono i rapporti uomo-donna. Disordinati, casuali, precari (vedi i banchetti nuziali e le prime notti, gli orgasmi che sono illuminazioni cosmiche, la sveltina del nonno che si allontana dal banchetto etc…). È un continuo febbricitante alternarsi dell’alto e del basso in un flusso di scrittura che potrebbe non finire mai, come del resto non finisce l’ultima frase, in un vortice in cui ruotano persone ed eventi e tutte e le identità si mischiano - E’ la memoria e la conseguente scrittura che tutto illumina.

 

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