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2021-02-08 Ogni coincidenza ha un'anima di Fabio Stassi

FABIO STASSI

E' nato a Roma il 2 maggio del 1962. La famiglia è di origini siciliane di Piana degli Albanesi. Lavora come direttore della biblioteca di Studi orientali a Roma, vive a Viterbo e come lui stesso dice nelle interviste, scrive sul treno facendo il pendolare ogni giorno da Viterbo a Roma.

Esrdisce nel 2006 con “Fumisterie”, scrive racconti, graphic novel. Nel 2013 premio selezione Campiello per “L'ultimo ballo di Charlot”. Nel 2016 pubblica il primo romanzo di una trilogia, “La lettrice scomparsa” che prosegue con “Ogni coincidenza ha un'anima” e si chiude con “Uccido chi voglio”, al centro di tutti e tre i romanzi la figura-io narrante e protagonista di Vince Corso.

Stassi scrive anche testi di canzoni, sceneggiature, e tiene corsi di scrittura con la casa editrice Minimum Fax.

 

OGNI COINCIDENZA HA UN'ANIMA

Sapevo del mestiere di biblioterapeuta di Vince Corso. Il libro mi è piaciuto. In ogni cliente di  Vince Corso ci si può facilmente rispecchiare. Interessantissima la storia della biblioteca di Federico. Libro pieno di spunti. Belli i versi delle canzoni. Alla fine mi sarebbe piaciuto meno decisionismo da parte di Vince Corso sulle vite degli altri.

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A me è piaciuto moltissimo. Interessante il tema della memoria e dell'Alzheimer. Bellissima e commovente l'immagine del passerotto associata a Fedrico, malato e costretto nella casa di cura.  Vince Corso trasmette molta malinconia, si vedano in questo senso le cartoline al padre, le canzoni francesi, e Roma, descritta in modo così triste, sempre immersa nella pioggia, contrastante con la visione tradizionale di questa città. Non mi sono piaciuti i personaggi femminili. Infine, da questo libro ho imparato alcune cose, come il caviardage e poi che a Catania esiste veramente un Pronto Soccorso letterario. Mi ha disturbato la mancanza delle virgoilette nei dialoghi. Gradevole la scansione in capitoli con le lettere dell'alfabeto.

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All'inizio no, ma, procedendo, il romanzo mi ha appassionato. Le clienti-pazienti servono all'io narrante per definire la sua identità. Bella la trovata della biblioterapia, che collega la vita alla letteratura. Molte affinità con la biblioteca di Borges. Bella la frase citata di Cervantes: “Leggere è un'azione sovversiva”, è un messaggio forte. 

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Questo libro mi è piaciuto molto, mi ha rapito. E' un inno alla lettura. Ma anche un monito a non sprofondare nella lettura. Interessante la figura dell'io narrante che si percepisce come fallito, è una persona che rinuncia. Bello il passagio della paziente che rivela di essere una scrittrice e lo critica duramente. Bello anche il congegno che porta Vince Corso a scoprire la storia segreta dell'innamorata di Federico.

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Il libro mi ha spiazzato. E' un libro pieno, dentro c'è di tutto, cerca di metterci la realtà, ma la vita alal fine è solo quella dei libri. Mi fa sentire imbarazzata questo libro, pieno di riferimenti intellettuali, rielaborazioni e citazioni che rimandano ad altri autori, mi vengono in mente i libri di Queneau. Ho cercato di capire cosa mi abbia lasciato, a parte la messe di titoli di libri, e non saprei, troppi i rimandi intellettuali. Insomma, non mi ha trascinato. E' un libro erudito, scritto bene, ma non mi è piaciuta la sua idea che la vita passi attraverso la letteratura, questa è una cosa folle.

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Sono d'accordo con l'intervento precedente, troppi rimandi intellettuali, citazioni, elenchi...Un libro che sembra troppo costruito a tavolino. Alla fine, sotto trovi che tutti sono alla ricerca dell'amore, da  Vince Corso stesso fino a Federico. Ho trovato molto bello il finale. Interessante la descrizione di Roma, il contrario della sua solita immagine di città scintillante.

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Non mi è piaciuto molto. Mi è piaciuto lo studio linguistico, la ricerca sulla biblioteca, l'atmosfera malinconica. Certo, è ben scritto. Però, non ho trovato che sia un inno alla lettura. La biblioteca è qualcosa di faraonico che alla fine risulta frustrante. Interessante la professione di Vince Corso, molto meno la sua relazione con le clienti-pazienti.

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E' stata una lettura entusiasmante, ho letto anche il primo della trilogia, meno brillante, ma fa capire  e inquadrare di più tutta la vicenda di Vince Corso. La biblioterapia non è una trovata geniale, ma rappresenta  l'occasione di parlare di libri. E chi scrive li ama e li conosce molto bene, vedere l'analisi su Kafka e le sue Metamorfosi. Tutti i suoi riferimentri letterari sono belli e centrati. E anche la storia lo è.  Alla fine tutti i pezzi combaciano. I temi interessanti: la vecchiaia, o quello delle biblioteche orfane, che spesso vengono messe in vendita senza riguardo da vedove o parenti. Untema che mi ha personalmente coinvolto. Credo che la letteratura serva a riparametrare la vita.

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Sono contento di aver scoperto questo autore, il romanzo è ben costruito, forse, un po' cerebrale e intrellettuale, al punto di diventare freddo. E' scritto bene, ed è molto colto. Ho notato un po' di compiacimento dell'autore in questa costruzione.

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Utile l'indicazione di Ungaretti che recita su Youtube. Libro denso di concetti, introdotti e abbandonati senza utilità per il romanzo, sia pure descritti con stile leggero: la memoria, l'identità (le cartoline al padre), Aspettando Godot (la birreria), "Tutto è già stato detto" (per ogni problema c'è un libro che lo risolve, del razzismo si può parlare solo per metafore), il fingitore (i personaggi sono tutti fingitori del dolore che sentono). Comunque libro piacevole e originale.

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Mi ha interessato la vicenda della biblioterapia in particolare. E' un libro originale, ma c'è di tutto, troppo, sembra quasi un intrigo giallo. Ma poi (quasi inaspettatamente) tutto si sciogle alla fine, anche se la storia d'amore resta un po' inespressa. Comunque, il romanzo risulta pesante con tutta questa erudizione. Bella la citazione di Ungaretti. Ma alla fine c'è troppa roba e non so dire se mi sia piaciuto o no.

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Anch'io ho sentito la mancanza della storia. La vicenda si scioglie nel finale ma senza gli indizi consueti in un romanzo che lo facciano intuire. Ho letto gli altri due libri della trilogia e questo aiuta a comprendere il personaggio che narra, Vince Corso che pare rispecchiarsi nei vari personaggi. Alla fine lo giudico un libro di intrattenimento, caratterizzato da un tono troppo intellettuale.

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Sì, in conclusione si può dire che è un po' un divertissement, al quale ci invita proprio a partire dalla copertina che ritrae una fanciulla dipinta da tale Feng, nome del personaggio della donna del telefonino. 

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Il libro ha tanti spunti. Pensiamo al tema del razzismo, quando l'autore insiste a presentarci i dizionari, Federico che conosce una molteplicità di lingue, e poi la clavis sinica, tutti dispositivi, sembra dirci l'autore, strumenti utili a combattere il razzimo. Anche la vicenda delle cartoline è molto bella e straziante, pensando alla storia del padre mancato di Vince Corso.

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Vorrei dire che la letteratura è vero che salva la vita ma non si può vivere attraverso la letteratura e le storie degli altri.

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Illuminante la frase che dice la cliente-paziente a Vince Corso “Tu campi sui libri degli altri...”, l'autore ci vuol dire forse che il punto è superare questo limite.

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Questo libro non è un libro che cura, ecco il motivo per cui non mi è piaciiuto. E poi, questi personaggi maschili: tutti fragili, inconsistenti, un po' falliti come Vince Corso, figure di uomini che sembrano contraddistinguere la nostra epoca storica e spesso si trovano nei romanzi o nelle serie televisive di questi ultimi tempi....

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La figura di perdente di Vince Corso è legata alla perdita del padre. Interessanti le figure del portinaio e dell'ex allenatore di boxe, si capisce che l'autore conosce il mondo del pugilato e lo descrive bene, soprattutto quando racconta la storia di Griffith.

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Quello del perdente, legato alla figura dell'investigatore, sembra quasi un clichet, penso a Jean Claude Izzo, di cui abbiamo letto un romanzo in passato, anche il suo protagonista è dipinto così.

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