JOSEPH CONRAD
Nasce nel 1857 in Polonia (attuale Ucraina), muore nel 1924 per un attacco di cuore. Nel mondo attorno a lui, tra la seconda metà del’800 e la prima del 900, si scontrano l’imperialismo della spartizione di Asia e Africa e i nuovi ideali socialisti, riformisti e rivoluzionari.
Esiliato in Russia con la
famiglia nel 1861, a 11 anni resta orfano e viene educato a Cracovia da uno
zio. Per non fare il militare in Russia, si reca a Marsiglia come apprendista
marinaio, conoscendo così persone in fuga e trafficanti, le cui vite saranno
spunto per i suoi romanzi.
Nel 1868 salpa su una nave
inglese per l’Australia. Vuole diventare capitano di lungo corso, per questo
studia la lingua e prende la cittadinanza inglese. A 33 anni è in Africa per sostituire
un capitano morto, è testimone della colonizzazione di queste terre dove si
ammala, nel corpo e nella mente.
Dal 1895, dopo aver
ereditato dallo zio, si dedica unicamente alla scrittura.
IL DUELLO (I
DUELLANTI)
Il duello non appartiene
più al nostro mondo, ma dietro a un quadro sociale estremamente moderno, le
disuguaglianze sociali si riproducono ancora oggi. Il protagonista è fine
gentile cavalleresco, lo sfidante rozzo volgare istintivo, ma conosce in modo
istintivo il suo posto nel mondo del primo.
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Libro perfetto, grande
piacere nella rilettura, accompagnata dalle immagini del film di Ridley Scott.
Racconta la lotta di classe e l’aspirazione all’ascesa sociale in epoca
napoleonica con le vicende di Féraud, figlio di fabbro sulle orme
dell’aristocratico antagonista D’Hubert. Féraud parte con l’handicap ma segue
il rivale con valore.
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Libro molto moderno e
piacevole da leggere, racconta di due artisti folli che si chiamano fuori dalle
regole in una società poco nobile a cui non importa se i suoi soldati muoiono.
Il mistero sulla loro necessità di duellare, in un’epoca in cui i duelli sono
già illegali, li rende popolari.
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Un gioiellino, con un
esordio stupefacente. Sorprendente come una guerra lunga 15 anni faccia solo da
sfondo alla vicenda dei due protagonisti, che racconta il conflitto di classe
con contrasti fortissimi. Vince la restaurazione, ma è la lotta di un uomo con
se stesso (razionalità/istinto) per raggiungere la consapevolezza.
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Ho apprezzato lo scorcio di
storia sullo sfondo della vicenda dei due protagonisti, ho trovato difficile da
seguire la lotta tra i due originata da un motivo banale. Mi è piaciuto il
finale, D’Hubert ha nelle sue mani la vita dell’avversario, ma lo mantiene in
vita e scopre l’amore della ragazza solo all’ultimo duello.
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Mi è piaciuta
l’architettura del racconto, gradevole da leggere in inglese con il testo a
fronte, architettura non artificiosa, fluida, naturale. Mi piace come l’autore
prepara gli antefatti, una storia di opposti, la storia di un’epoca,
l’assurdità dei conflitti umani. A proposito: c’è un vincitore secondo voi? Chi
è vinto? O sono entrambi vincitori ed entrambi vinti?
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La tenzone va avanti senza
vincitori né vinti. Grande arte narrativa, assoluta, Conrad scrive in una
lingua non nativa. Passione per la guerra, descrive una pace dove si puliscono
sciabole e fucili. Ineluttabilità della tenzone, il duello innanzi tutto,
D’Hubert subisce ma ha rimpianto per la spezia che insaporisce. Aspetto comico
e clangore delle armi.
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Attenzione concentrata
sulla differenza tra i due personaggi, D’Hubert vincitore, infine in pace con
sé stesso, non faceva trapelare la difficoltà dell’amore, ma solo grazie a
Féraud ha trovato la donna da amare. Mette invece tristezza l’esilio di Féraud.
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Il duello mi ha deluso ma
forse perché non ho trovato il Conrad di Tifone e Cuore di tenebra che
conoscevo e amavo. Il conflitto tra rivoluzione e restaurazione è la lettura
più comune, per me personalità e psicologia dei duellanti (preferisco questo
titolo) sono il centro del racconto, a volte caricaturale e grottesco.
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Il racconto mi è parso un
trattato psicoanalitico sulla dipendenza reciproca. I due protagonisti mi hanno
fatto pensare a due fratelli, D’Hubert il primogenito che fa una scelta
esistenziale e trova un senso alla vita nello sposarsi. Nel complesso
interessante ed ironico, non sempre mi ha convinta.
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La scelta finale di D’Hubert, nel risparmiare la vita e corrispondere segretamente una pensione all’esiliato Féraud, mi ha fatto pensare a questa frase terribile di Fleur Jaeggy: Esiste, nell’aiutare gli altri, una vaga passione omicida che è difficile contenere in un sentimento meno sanguinario.
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