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Capolavoro,
letto volentieri. Ritratto di una famiglia che ha un soprannome che non merita
perché sono tutti molto laboriosi. Tema del “nuovo che avanza”: l’ondata del
capitalismo, la leva militare, il battello a vapore. La famiglia è combattuta a
cedervi, ma poi lo fa con il commercio dei lupini. Il ragazzo Ntoni desidera
evolvere, ma senza successo. Il “coro” del paese, voci che accompagnano la vita
quotidiana, dettano regole, litigano e poi si riappacificano, è una sorta di
tribunale al quale tutti devono rendere conto. Gli uomini sono per lo più avidi
e inconcludenti. E la figura di padron Ntoni è disperata e patetica.
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Lettura
faticosa.
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Mi ha
molto annoiato e intristito.
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A
fatica, ma l’ho finito. Rimane un libro fondamentale per la nostra cultura, ma
è troppo pessimista e senza speranza. I personaggi sono caotici e i soprannomi
interessanti. L’ambiente è raccontato molto bene. In un primo tempo tutto fila
liscio. Poi, quando arrivano delle novità, tutto va in crisi. Mi ha colpito il
largo uso dei proverbi che oggi, invece, non si adottano più. Tutto è
condannato a restare com’era, anzi, il nuovo peggiora la situazione. La storia
è narrata in modo oggettivo, ma l’autore non c’è, non si sente che parteggi per
l’uno o per l’altro. Non c’è partecipazione e non si intravede una parvenza di
riscatto per la povera gente.
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Pessimismo
non verso il futuro, me verso l’umanità. Più che verista descrive con un
metalinguaggio e lì diventa protagonista.
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Avrei
voluto leggere il bigino. E’ uno scrittore storicamente importante, ma la
narrazione è poco accattivante. Anch’io ho notato l’impersonalità dell’autore.
Secondo Dacia Maraini è uno scrittore lirico. Mi ricorda il cinema neorealista.
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Ho
ascoltato l’audiolibro interpretato da un attore che con la sua voce ha
valorizzato il libro. La storia si svolge in un paesino con gente un po’
meschina e ignorante, mentre i Malavoglia erano buoni, ma schiacciati dagli
eventi. Chi ha un carattere flessibile riesce a realizzare qualcosa. Il nonno,
invece, è testardo e ha perso il passo con il nuovo. Mi è piaciuta la tecnica
narrativa e dialoghi pieni di ritmo tanto che mi sembrava di essere a teatro. I
personaggi sono descritti dai loro soprannomi.
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Parlare
attraverso i proverbi è tipico dei siciliani. L’epoca è quella del Gattopardo,
ma qui l’ambientazione è la città e i protagonisti appartengono alla nobiltà.
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Insieme
a Capuana, Verga è il fondatore del verismo. Innovatore del linguaggio,
trasferisce la parlata sulla pagina scritta e, rispetto agli scrittori
dell’Ottocento, resta fuori dalla storia. E’ stato accostato a Joyce: il
discorso diretto tra tutti i personaggi è come se fosse un flusso di coscienza
corale. Il lavoro di riscrittura e sul linguaggio è notevole. La storia è un
susseguirsi di tragedie. Il tema è quello della rassegnazione del popolino
segnato da un destino infausto. Il senso del progresso è proprio della sua
epoca, ma Verga è conservatore: il progresso distrugge e il popolo deve
rassegnarsi. Il neorealismo parlava degli oppressi, ma con una coscienza
diversa. In Verga c’è rassegnazione e accettazione dei pregiudizi.
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La
prima volta che l’ho letto mi ha colpito il rapporto di chi è nella storia e
nello stesso tempo fuori, cioè il popolo. E’ un testo fitto di dialoghi, di
soprannomi e modi di dire. Sembra un set cinematografico e mi ha ricordato il
libro Horcynus Orca
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