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2020-12-15 Cenere di Grazia Deledda

GRAZIA DELEDDA

Nonostante sia l’unica scrittrice italiana premiata con il Nobel, dopo Carducci e prima di Pirandello, resta nell’ombra. Nasce a Nuoro il 27/9/1871 da famiglia benestante, il padre è proprietario terriero, laureato in legge. Quarta di sette figli, sin da giovanissima manifestò talento nella scrittura. Frequentò le scuole elementari, poi studiò a casa con un maestro. Le sue prime pubblicazioni avvennero quando lei aveva 13 e 17 anni. A 28 anni si trasfersce a Cagliari dove incontra Palmiro Madesani che solo tre mesi dopo diventa suo marito. Mentre lei scrive e la sua fama cresce, la sua famiglia d’origine subisce alcuni dissesti finanziari, una sua sorella muore, un fratello finisce in carcere. Con il marito si trasferisce a Cagliari, nel 1902 nasce il figlio Sardus, nel 1904 nasce Franz. Il suo primo romanzo di successo è Elias Portolu del 1903, seguito da Cenere nel 1904.

Verga e Capuana parlano bene di lei, per il romanzo La madre ebbe la prefazione di Lawrence. Ricevette il Nobel a 56 anni, morì a 66 per un tumore al seno. I suoi maggiori detrattori sono i sardi, che verso di lei hanno sviluppato acrimonia perché descrive una terra arcaica e tradizioni antiche. La sua memoria è stata recentemente riabilitata grazie a un nipote, figlio del primo figlio, che con Camilleri ha istituito il premio letterario Deledda.

A me molto cara perché frequento Cervia che lei amava moltissimo e dove aveva ha acquistato la Casa color biscotto, ora dependance di un albergo. Cervia ha riconosciuto la scrittrice e la sua opera, sebbene ancor oggi tutti i suoi romanzi siano pubblicati da editori minori. A Cervia furono scritti alcuni dei suoi romanzi, in particolare, ricordo Il Paese del Vento, in cui descrive l’arrivo in treno di una coppia. Deledda amava gli scrittori russi e in tutti i suoi romanzi c’è un protagonista in più, la Sardegna.

In “Portolu” ho trovato un’atmosfera di fiaba, nonostante il pessimismo. In “Cenere”, dove ancora covano le scintille della vita, grandissima poesia.

CENERE

Se contestualizzo va bene tutto, Deledda è molto brava a descrivere ambiente e personalità, dote molto apprezzabile. Ma, letto cento anni dopo, non stupisce non trovarlo in libreria. Mentalità gretta e cupa, incapace di uscire dal mondo ristretto. Chiodo fisso è la redenzione della madre, sacrificio di vita perché lei si redima. Anche la ragazza che sembra innamorata, poi non vuole prendersene cura. Mi irrita e mi dà fastidio questa incapacità di fare il salto. La più coerente e la più libera è la madre che si uccide e lascia libero il figlio. Solo lei lo ama ma non c’è incontro fra di loro.

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Mi sono sforzata di entrare nel libro, contestualizzandolo. Allora ci sono tanti spunti: l’interno della Sardegna molto arretrata, il banditismo frutto della miseria, ma anche il progresso nelle città. Processo di rinnovamento culturale c’è, ma c’è anche il discorso trascinante degli ambienti, che giustifica i sentimenti di questi personaggi che tendono all’autocoscienza. Il paesaggio invita a questa analisi introspettiva. Il tema dell’abbandono è molto forte, oggi esagerato, allora no. Poi troviamo il contrasto tra classi sociali. Tutto esagerato, ma alla fine questo sentimento mi è entrato dentro. C’è ancora negli adolescenti questo sbandamento, questa difficoltà di scegliere tra bene e male. E poi il tema del destino, come un filo che ti trascina, e torni ad essere quello di prima. Anania non può amare neppure Margherita, ama e odia la madre che non gli ha consentito di crescere. La madre, con questo finale drammatico, ne esce bene. È lei alla fine la vittima, la sua “colpa” è averlo portato dove lui trova la sua evoluzione, poi raggiunge la crudeltà e infine la fiamma e la cenere.

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Gli interventi degli altri mi hanno aperto a riconsiderare il tutto. Amo la Sardegna e continuo a pensare a qualcosa di esagerato, costruito da una persona che con il suo amore per il paesaggio non riesce a provare empatia per i suoi personaggi che considera arretrati. Scritto più di un secolo fa, certi aspetti ci sono ancora, ma altri scrittori come Dessì o Gavino Ledda danno un quadro diverso, non così ossessivo da ricordare più la Russia che la Sardegna. Rispetto a Elias Portolu, i personaggi sono meno rozzi in Cenere, ma il finale mi ha deluso, nessuna speranza d’amore, gratitudine zero, non sono rimasta molto entusiasta.

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Storia d’altri tempi, una donna ingannata, un figlio abbandonato, il desiderio di riscatto. Sguardo etico, senso del dovere incoercibile, ricerca a senso unico di un figlio che cerca la madre. Abbandono che il figlio non solo non accetta, ma neppure capisce, vuole trovare la madre solo per desiderio di espiazione. Il senso di redenzione viene poi a mancare, per lui c’è la vergogna più che la sofferenza per una relazione interrotta. Ossessione di voler far prevalere il bene sul male. Aggiungo solo un accenno alle nuvole che non sono sempre nere e grigie, ma anche rosa e illuminate dal sole. I figli abbandonati cercano sempre la famiglia ma non ho avvertito questo sentimento in Cenere, storia dura, aspra e rozza come la Sardegna.

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Mi è piaciuto, e dopo averlo letto velocemente ho trovato alcune critiche interessanti sul perché Deledda non era considerata nell’ambiente letterario. La sua visione era di situazioni difficili e tristi, dunque etichettata come tardo verista e pessimista. La trovo invece moderna, perché ha sempre tenuto fede a quello che sentiva, veniva da nuorese e a questo è sempre rimasta fedele. Chi nasce povero non ha tante possibilità di prendere l’ascensore sociale e resta ingabbiato in disastri, povertà, sofferenza, destino. Anania è imprigionato nel suo vissuto in un’epoca dove la famiglia e la famiglia non erano quelli che lui aveva. Era ossessionato e non poteva svilupparsi liberamente. La visione di Deledda è condizionata anche dalla sua personale vicenda, dunque non poteva essere ottimista. Era donna, si è fatta largo con una tenacia pazzesca. Il paesaggio accompagna gli stati d’animo, così il venti accompagna la fuga di Anania, l’immagine è molto bella e moderna. Questa parabola, la laurea e il matrimonio con Margherita, invece no. Finisce però con la cenere da cui nascono i diamanti. Trovo Deledda una donna potente per la capacità di portare fino in fondo la sua visione del mondo. Penso che un secolo fa fosse un vero e proprio inferno per chi nasceva in povertà. Vera protagonista è la madre che diventa grandiosa con il gesto di togliersi la vita. Ritengo che sia un provincialismo pazzesco non considerare Deledda tra i grandi della letteratura.

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Anania è un opportunista, cerca la madre sperando di non trovarla, lei invece è grande davvero.


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