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2020-10-06 Le sorelle Donguri di Banana Yoshimoto

Banana Yoshimoto

Banana Yoshimoto nasce nel 1964, figlia di un filosofo e critico marxista e sorella di un’illustratrice di successo. Sposata e con un figlio, raggiunge la notorietà con “Kitchen”. Conduce una vita molto riservata.

 


Le sorelle Donguri

Da una diffidenza iniziale, causata dal best seller internazionale “Kitchen”, mi sono recentemente accostata di nuovo alla lettura di suoi romanzi e mi sono un po’ ricreduta, e tra l’altro  “Le sorelle Donguri” mi è piaciuto molto. Ho apprezzato la leggerezza, il tono e le tinte gentili e delicate che permeano il romanzo anche quando vengono affrontati temi molto seri e drammatici come l’anoressia, l’isolamento, la perdita di una persona cara. Da un evento tragico assistiamo a un processo di integrazione col mondo anche grazie alla presenza della solidarietà e della condivisione. Presenze fondamentali che faranno uscire la narratrice da uno stato penoso di isolamento che si potrebbe ricondurre ai casi dei cosiddetti hikikomori. Molto belli alcuni passaggi nel romanzo come il graduale aprirsi al mondo, o il tragitto che porta la narratrice a ripercorrere la memoria di un amore giovanile. Nel suo insieme si trae un’idea di armonioso acquarello dai toni dolci e rinfrescanti.

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Di questa scrittrice ho letto anche un altro romanzo “Amrita” e in questo ho ritrovato gli stessi temi e lo stesso stile, si tratta di temi spesso anche drammatici che riguardano le relazioni sentimentali, famigliari. La narrazione ha un andamento superficiale, toccando a sfioro gli argomenti. Ho trovato bellissimo l'incontro con la madre del suo giovane ex innamorato. Colgo nei suoi romanzi una visione quasi soprannaturale della vita da cui mi sento estranea. E noto anche un certo scarto, credo presente nella cultura e mentalità giapponesi, tra la tradizione di sentimenti e consuetudini aperti alla sfera intima ancora molto vivi e lo stato tecnologico che coinvolge tutto il Paese. Infine, la visione della donna che ne emerge è quella di un soggetto a metà tra la modernità e la tradizione.

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Dietro questo romanzo e questa scrittura intravedo la mentalità orientale, l'atarassia: tutto scorre e tutto si lascia vivere. Una filosofia molto diversa da quella occidentale. In Giappone si mescolano continuamente le tensioni, le abitudini del perfezionamento tecnologico con le tradizioni più antiche e con un forte amore per la natura. La cultura del bello e il rispetto dell'altro permeano tutto il Paese.

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Si avverte nella scrittura di Banana Yoshimoto una profonda giapponesità. In passato lessi altri scrittori giapponesi, come Murakami, nel cui caso si sente la frattura col proprio universo identitario e una ricerca più esasperata del moderno anche sul piano personale e relazionale.Nel romanzo il nome delle due sorelle richiama al tema della ghianda, di un essere unico diviso in realtà in due parti complementari e saldate, mi pare un punto cruciale del romanzo che si genera a partire da un trauma profondo che viene appunto superato nella fase finale del racconto attraverso l'unità solidale, la coesione delle due entità, diverse ma che trovano il modo di procedere unite. L'isolamento della narratrice non mi rimanda al caso dei hikikomori, lei mi pare che cerchi se stessa, al contrario della sorella che, proiettata sull'esterno, appare come una figura perennemente in fuga da se stessa. Nella scrittura ho notato alcune incongruenze di senso, inoltre è generalmente sotto tono, un po' povera, se pure ambiziosa nella scelta dei temi, mi pare non li abbia soddisfatti.

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Anch'io ho apprezzato il tono di leggerezza e grazia che permea tutto il libro. Mi pare interessante la capacità di trattare argomenti drammatici adottando un tono lieve. E' anche interessante il fatto che al di là dell'evento iniziale del trauma, la storia sia molto semplice, nel romanzo succedono poche cose, si parla di uno spicchio di vita, eppure non si risente di questa apparente esiguità di trama. Mi è anche piaciuta la struttura e ho trovato interessante l'idea del “blog” delle due sorelle. Alla fine però mi pare un esempio di romanzo povero, e a volte le considerazioni di carattere filosofico che la narratrice esprime, come quelle sulla perdita e sulla morte, risultano esili e incompiute. Esco comunque, grazie a questa conversazione e al gruppo di lettura, con la voglia di leggere qualcosa d'altro di questa scrittrice.

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