Banana Yoshimoto
Banana
Yoshimoto nasce nel 1964, figlia di un filosofo e critico marxista e sorella di
un’illustratrice di successo. Sposata e con un figlio, raggiunge la notorietà con
“Kitchen”. Conduce una vita molto riservata.
Le sorelle Donguri
Da una
diffidenza iniziale, causata dal best seller internazionale “Kitchen”, mi sono
recentemente accostata di nuovo alla lettura di suoi romanzi e mi sono un po’
ricreduta, e tra l’altro “Le sorelle Donguri” mi è piaciuto molto. Ho
apprezzato la leggerezza, il tono e le tinte gentili e delicate che permeano il
romanzo anche quando vengono affrontati temi molto seri e drammatici come
l’anoressia, l’isolamento, la perdita di una persona cara. Da un evento tragico
assistiamo a un processo di integrazione col mondo anche grazie alla presenza
della solidarietà e della condivisione. Presenze fondamentali che faranno
uscire la narratrice da uno stato penoso di isolamento che si potrebbe
ricondurre ai casi dei cosiddetti hikikomori. Molto belli alcuni passaggi nel
romanzo come il graduale aprirsi al mondo, o il tragitto che porta la narratrice
a ripercorrere la memoria di un amore giovanile. Nel suo insieme si trae
un’idea di armonioso acquarello dai toni dolci e rinfrescanti.
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Di questa
scrittrice ho letto anche un altro romanzo “Amrita” e in questo ho ritrovato
gli stessi temi e lo stesso stile, si tratta di temi spesso anche drammatici
che riguardano le relazioni sentimentali, famigliari. La narrazione ha un
andamento superficiale, toccando a sfioro gli argomenti. Ho trovato bellissimo
l'incontro con la madre del suo giovane ex innamorato. Colgo nei suoi romanzi
una visione quasi soprannaturale della vita da cui mi sento estranea. E noto
anche un certo scarto, credo presente nella cultura e mentalità giapponesi, tra
la tradizione di sentimenti e consuetudini aperti alla sfera intima ancora
molto vivi e lo stato tecnologico che coinvolge tutto il Paese. Infine, la
visione della donna che ne emerge è quella di un soggetto a metà tra la
modernità e la tradizione.
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Dietro
questo romanzo e questa scrittura intravedo la mentalità orientale,
l'atarassia: tutto scorre e tutto si lascia vivere. Una filosofia molto diversa
da quella occidentale. In Giappone si mescolano continuamente le tensioni, le
abitudini del perfezionamento tecnologico con le tradizioni più antiche e con
un forte amore per la natura. La cultura del bello e il rispetto
dell'altro permeano tutto il Paese.
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Si
avverte nella scrittura di Banana Yoshimoto una profonda giapponesità. In
passato lessi altri scrittori giapponesi, come Murakami, nel cui caso si sente
la frattura col proprio universo identitario e una ricerca più esasperata del
moderno anche sul piano personale e relazionale.Nel romanzo il nome delle due
sorelle richiama al tema della ghianda, di un essere unico diviso in realtà in
due parti complementari e saldate, mi pare un punto cruciale del romanzo che si
genera a partire da un trauma profondo che viene appunto superato nella fase
finale del racconto attraverso l'unità solidale, la coesione delle due entità,
diverse ma che trovano il modo di procedere unite. L'isolamento della
narratrice non mi rimanda al caso dei hikikomori, lei mi pare che cerchi se
stessa, al contrario della sorella che, proiettata sull'esterno, appare come
una figura perennemente in fuga da se stessa. Nella scrittura ho notato alcune
incongruenze di senso, inoltre è generalmente sotto tono, un po' povera, se
pure ambiziosa nella scelta dei temi, mi pare non li abbia soddisfatti.
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Anch'io
ho apprezzato il tono di leggerezza e grazia che permea tutto il libro. Mi
pare interessante la capacità di trattare argomenti drammatici adottando un
tono lieve. E' anche interessante il fatto che al di là dell'evento iniziale
del trauma, la storia sia molto semplice, nel romanzo succedono poche cose, si
parla di uno spicchio di vita, eppure non si risente di questa apparente
esiguità di trama. Mi è anche piaciuta la struttura e ho trovato interessante
l'idea del “blog” delle due sorelle. Alla fine però mi pare un esempio di
romanzo povero, e a volte le considerazioni di carattere filosofico che la
narratrice esprime, come quelle sulla perdita e sulla morte, risultano esili e
incompiute. Esco comunque, grazie a questa conversazione e al gruppo di
lettura, con la voglia di leggere qualcosa d'altro di questa scrittrice.
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