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2020-02-03 Essere Vivi di Cristina Comencini


Cristina Comencini
Nata nel 1956, figlia del regista Luigi e madre, a soli 17 anni, di Carlo Calenda, imprenditore. Laureata in Economia e Commercio a Roma, da sempre appassionata di regia e scrittura. Cavaliere della Repubblica, è impegnata per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere. Tra i suoi film, il più noto è La bestia nel cuore, tratto dal romanzo omonimo scritto da lei stessa, e candidato all’Oscar come miglior film straniero.

Essere vivi (2016)
Letto velocemente, libro snello, storia interessante, avvincente. La scrittrice mi è un po’ antipatica e questo ha influito sulla lettura.  Scrittura asciutta, frasi ad effetto, corte, mi ha ricordato Erri de Luca. Scrittura forzata per colpire il lettore. Non mi è simpatica neppure la protagonista, dura, ingrata. Forzata anche la storia rispetto alle capacità divinatorie, ad esempio quando vede Daniele bambino nel bosco. Romanzo sulle relazioni malate, tra marito e moglie, tra genitori e figli, persino il personaggio dell’oste tradisce la moglie. Tutte relazioni disfunzionali. Si parla molto della malattia del padre di Daniele. Non lo rileggerei.
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Condivido molto di quanto appena detto, letto molto velocemente, volevo sapere come andava a finire. Seconda parte deludente, non ho apprezzato la capacità divinatoria. La prima parte rivaluta la fantasia, però non ho capito perché si sono suicidati.
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Mi è piaciuto il narrare scarno. Non trovo i rapporti malati, quando nella vita ci si trova con queste esperienze. Prima parte meglio della seconda. L’incontro con Daniele aiuta Caterina a riscoprire la prima parte della vita. Lei ha inglobato la sua storia dentro sé, è piena di rabbia. Ho letto da qualche parte “scrittura a strapiombo sui sentimenti”, sui buchi neri della loro esistenza, e sono d’accordo con questa definizione. Citazione dal libro: “La vita ha tutto ciò che serve per goderla”. Infine, è un tributo alla vita.
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Non mi è piaciuto. Le recensioni mi hanno aiutato a vedere meglio. Mi aspettavo un tentativo di recupero, invece non è accaduto il miracolo. Spreco, perché la madre adottiva meritava spazio maggiore. Mi ricorda “L’amore molesto” della Ferrante quando la protagonista scopre che la madre muore per annegamento, forse suicidio. Anche lì c’è una storia di amanti, dove lui cerca di stare accanto alla protagonista. Il confronto tra i due romanzi tuttavia va a favore di L’amore molesto. La storia con il figlio di lui è improbabile. Non sono d’accordo nel considerare violenza inaccettabile da parte della madre adottiva il voler cambiare la vita di Caterina. Suicidio della madre: logorata nell’educazione, la vita con il marito poco soddisfacente, cerca altro…
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Difficoltà ad entrare, poi letto tutto d’un fiato ma ripensandoci la storia è evanescente, come un sogno. Non consistente, i personaggi prima mi convincevano, poi artificiosi. Investimento narcisistico della madre sulla figlia adottiva.
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Piaciuto molto, mai banale, né nella narrazione, né nell’epilogo. La scrittrice ribalta la vita. Bello il collegamento con il titolo. Caterina ha lottato sin da piccola, non si è arresa, ne ha fatto una risorsa. Paradossalmente è la madre – il cui scopo nella vita è migliorare gli altri – a non saper vivere, a non saper stare un secondo da sola con sé stessa. Donna dalla vita perfettina, non sapendo far fronte al fallimento, si suicida.
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Mi è piaciuta l’idea base. Creatura solare che attira i depressi e non riesce (nel suo intento di risollevarli). Tema importante perché ciascuno di noi è legato alla questione della vitalità. Solarità, capacità di vivere della madre, non ha resistito al fallimento e al logorio. La vera anaffettiva è Caterina. Altro tema che mi è piaciuto è l’adozione, la questione della doppia nascita, la parola è rabbia, da superare, incanalare. Entrambi i temi nella mia famiglia, ma il libro è troppo violento e troppo estremo, anche senza Grecia e senza abisso.
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D’accordo con quanto detto su Caterina e sulla madre. Caterina dice con rabbia che la madre ha cancellato il suo passato, con i figli adottivi è così, come fai, sbagli. Situazioni un po’ esagerate, non del tutto corrispondenti alla vita reale. Il libro migliora quando arriva Daniele, l’ambientazione in Grecia tocca corde di simpatia. Finale poco realistico, ma giovane e simpatico. Belle le vostre spiegazioni sul suicidio, ma non capisco perché lei (la madre di Caterina) lo segue (Sebastiano, il padre di Daniele).
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Noto dei collegamenti tra la protagonista Caterina e la regista/scrittrice. Inverosimili i flash sulle vite altrui. Finito il libro, ho letto un’intervista in cui Comencini racconta della propria infanzia/giovinezza scapestrate in compagnia di un cane. Incendio del romanzo si è rivelato salvifico per la bimba che ha trovato una nuova madre che le ha pagato una clinica costosissima. La stessa madre che aveva una vocazione a salvare il prossimo ed è stata risucchiata dall’angoscia di Sebastiano. Daniele non mi è piaciuto molto, ma ha aiutato a capire il suicidio dei due.
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Ne ho letto solo metà, la situazione della bambina è incredibile, niente cibo… la figura della madre adottiva mi è piaciuta, simpatica, energica, vitale. Anch’io vedo un nesso con L’amore molesto della Ferrante.
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Non mi ha dato grandi emozioni, i temi però mi toccano. Il suicidio, il dolore ricorrente di Caterina, immagino una baraccopoli perché non si sa quanto è vero e quanto è immaginazione. Buchi neri, che tutti hanno, l’immagine del cancello da cui scappare. Qual è il messaggio? Tutti abbiamo buchi neri e Caterina alla fine capisce come vivere, unendo (?) i dolori. A proposito di Grecia, isola di Patmos, grotta dell’Apocalisse, che poi vuol dire “svelamento”. Quanto a tavolino? Quanto sentito? Personaggi viaggiano su binari incomunicabili, il gioielliere è preciso, ma vive, la madre è solare, ma si suicida. Binari paralleli e a volte sovrapposti. La bambina, che non è abbandonata, ha un’immagine fervida e vuole capire le proprie origini.
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Libro per me disturbante, inquietante, letto voracemente e poi lasciato lì. Personaggi contraddittori come contradditoria è la vita, restano irrisolti, non c’è soluzione o catarsi finale. Interessante una citazione di Deleuze fatta dalla stessa Comencini in un’intervista, “Diffidate dei sogni degli altri, se siete presi nel sogno di un altro, siete finiti”. Secondo me è una delle chiavi del libro. Mi è piaciuta molto la capacità della bambina Caterina di indovinare le vite degli altri, mi pare assomigli molto alla capacità di scrivere dell’autrice Comencini.
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Un po’ di fatica a leggere, desiderio di proseguire, ma ho avuto resistenze, ho dovuto interrompere, emergere da tanto dolore. Padre gioielliere, Sebastiano, Daniele, poi i reduci che compaiono nel racconto e si portano il dolore della loro storia. Tagliati fuori tempo addietro, non riconoscono il mondo di oggi. Mamma di Caterina: aver chiuso fuori il passato della figlia è una responsabilità pesante. È un passato di libertà, prima della crescita con due genitori anaffettivi. Quando la donna si accorge di non aver più nulla da fare (“la figlia è riuscita”), e non ha più il compito che si era data, abbandona figlia e marito e se va. C’è una frase chiave nel libro, “quando sono disposta ad entrare nel tuo mondo, tu abbandoni e te ne vai”, rivolta a Sebastiano. La scrittura stenografica è in sintonia con la storia per come è sintetica.
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Istintiva antipatia per Caterina e Daniele, resistenza alla scrittura che descrive il dolore (vedi Nadia Terranova e altre autrici recenti), scrittura che allontana. Volevo leggere per finire. Due vite, due parti, ho preferito la prima sebbene estrema, la seconda più banale. Interessante il ritorno alle origini concesso a Caterina dal papà gioielliere dopo il successo scolastico. L’adozione è un tema forte, ma è la ricerca di sé stessi, con il ritorno alle origini, il tema scelto da Comencini. Ritorno non felice. Lei sta sul traghetto, è quieta, ma non felice, mi ricorda I giorni dell’abbandono della Ferrante. Libro non banale, passaggi saltati, da approfondire, da parte della stessa Comencini. Madre che cambia la figlia che non è riconoscente.
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Irritazione nel leggere il libro, l’autrice vuole piegare le sue storie alle sue idee morali forti, alle sue visioni che vuole comunicare al mondo. Estremizzazione della sofferenza, passando attraverso le strade più difficili per riuscire a sopravvivere. Narrazione un po’ banale, l’autrice si serve di un linguaggio apparentemente duro, rozzo, toglie gli aggettivi, come insegnano nelle scuole di scrittura. Invece che “scarnità” c’è povertà di scrittura. Storia al servizio delle idee, vedi vicenda della prigionia nell’isola greca, il vecchio cieco e saggio. Qual è il messaggio, oltre a essere ivi, nonostante tutto? Uccidere padre e madre per essere vivi davvero. Così accade all’inizio per Caterina, ma la storia è inverosimile. Poi viene fatta fuori anche la seconda famiglia (la madre). poiché abbiamo appena letto la Strout, il confronto è inevitabile e c’è un abisso, ma il bello del gruppo è proprio questo.
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