Cristina Comencini
Nata nel 1956, figlia del regista Luigi e
madre, a soli 17 anni, di Carlo Calenda, imprenditore. Laureata in Economia e
Commercio a Roma, da sempre appassionata di regia e scrittura. Cavaliere della
Repubblica, è impegnata per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere. Tra
i suoi film, il più noto è La bestia nel cuore, tratto dal romanzo omonimo
scritto da lei stessa, e candidato all’Oscar come miglior film straniero.
Essere vivi (2016)
Letto velocemente, libro snello, storia
interessante, avvincente. La scrittrice mi è un po’ antipatica e questo ha
influito sulla lettura. Scrittura
asciutta, frasi ad effetto, corte, mi ha ricordato Erri de Luca. Scrittura
forzata per colpire il lettore. Non mi è simpatica neppure la protagonista,
dura, ingrata. Forzata anche la storia rispetto alle capacità divinatorie, ad
esempio quando vede Daniele bambino nel bosco. Romanzo sulle relazioni malate,
tra marito e moglie, tra genitori e figli, persino il personaggio dell’oste
tradisce la moglie. Tutte relazioni disfunzionali. Si parla molto della
malattia del padre di Daniele. Non lo rileggerei.
§§§
Condivido molto di quanto appena detto, letto
molto velocemente, volevo sapere come andava a finire. Seconda parte deludente,
non ho apprezzato la capacità divinatoria. La prima parte rivaluta la fantasia,
però non ho capito perché si sono suicidati.
§§§
Mi è piaciuto il narrare scarno. Non trovo i
rapporti malati, quando nella vita ci si trova con queste esperienze. Prima
parte meglio della seconda. L’incontro con Daniele aiuta Caterina a riscoprire
la prima parte della vita. Lei ha inglobato la sua storia dentro sé, è piena di
rabbia. Ho letto da qualche parte “scrittura a strapiombo sui sentimenti”, sui
buchi neri della loro esistenza, e sono d’accordo con questa definizione. Citazione
dal libro: “La vita ha tutto ciò che serve per goderla”. Infine, è un tributo
alla vita.
§§§
Non mi è piaciuto. Le recensioni mi hanno
aiutato a vedere meglio. Mi aspettavo un tentativo di recupero, invece non è
accaduto il miracolo. Spreco, perché la madre adottiva meritava spazio
maggiore. Mi ricorda “L’amore molesto” della Ferrante quando la protagonista
scopre che la madre muore per annegamento, forse suicidio. Anche lì c’è una
storia di amanti, dove lui cerca di stare accanto alla protagonista. Il confronto
tra i due romanzi tuttavia va a favore di L’amore molesto. La storia con il
figlio di lui è improbabile. Non sono d’accordo nel considerare violenza
inaccettabile da parte della madre adottiva il voler cambiare la vita di
Caterina. Suicidio della madre: logorata nell’educazione, la vita con il marito
poco soddisfacente, cerca altro…
§§§
Difficoltà ad entrare, poi letto tutto d’un
fiato ma ripensandoci la storia è evanescente, come un sogno. Non consistente,
i personaggi prima mi convincevano, poi artificiosi. Investimento narcisistico
della madre sulla figlia adottiva.
§§§
Piaciuto molto, mai banale, né nella
narrazione, né nell’epilogo. La scrittrice ribalta la vita. Bello il
collegamento con il titolo. Caterina ha lottato sin da piccola, non si è
arresa, ne ha fatto una risorsa. Paradossalmente è la madre – il cui scopo
nella vita è migliorare gli altri – a non saper vivere, a non saper stare un
secondo da sola con sé stessa. Donna dalla vita perfettina, non sapendo far
fronte al fallimento, si suicida.
§§§
Mi è piaciuta l’idea base. Creatura solare che
attira i depressi e non riesce (nel suo intento di risollevarli). Tema
importante perché ciascuno di noi è legato alla questione della vitalità. Solarità,
capacità di vivere della madre, non ha resistito al fallimento e al logorio. La
vera anaffettiva è Caterina. Altro tema che mi è piaciuto è l’adozione, la
questione della doppia nascita, la parola è rabbia, da superare, incanalare. Entrambi
i temi nella mia famiglia, ma il libro è troppo violento e troppo estremo,
anche senza Grecia e senza abisso.
§§§
D’accordo con quanto detto su Caterina e sulla
madre. Caterina dice con rabbia che la madre ha cancellato il suo passato, con
i figli adottivi è così, come fai, sbagli. Situazioni un po’ esagerate, non del
tutto corrispondenti alla vita reale. Il libro migliora quando arriva Daniele, l’ambientazione
in Grecia tocca corde di simpatia. Finale poco realistico, ma giovane e
simpatico. Belle le vostre spiegazioni sul suicidio, ma non capisco perché lei (la
madre di Caterina) lo segue (Sebastiano, il padre di Daniele).
§§§
Noto dei collegamenti tra la protagonista
Caterina e la regista/scrittrice. Inverosimili i flash sulle vite altrui.
Finito il libro, ho letto un’intervista in cui Comencini racconta della propria
infanzia/giovinezza scapestrate in compagnia di un cane. Incendio del romanzo
si è rivelato salvifico per la bimba che ha trovato una nuova madre che le ha
pagato una clinica costosissima. La stessa madre che aveva una vocazione a
salvare il prossimo ed è stata risucchiata dall’angoscia di Sebastiano. Daniele
non mi è piaciuto molto, ma ha aiutato a capire il suicidio dei due.
§§§
Ne ho letto solo metà, la situazione della
bambina è incredibile, niente cibo… la figura della madre adottiva mi è
piaciuta, simpatica, energica, vitale. Anch’io vedo un nesso con L’amore
molesto della Ferrante.
§§§
Non mi ha dato grandi emozioni, i temi però mi
toccano. Il suicidio, il dolore ricorrente di Caterina, immagino una
baraccopoli perché non si sa quanto è vero e quanto è immaginazione. Buchi neri,
che tutti hanno, l’immagine del cancello da cui scappare. Qual è il messaggio?
Tutti abbiamo buchi neri e Caterina alla fine capisce come vivere, unendo (?) i
dolori. A proposito di Grecia, isola di Patmos, grotta dell’Apocalisse, che poi
vuol dire “svelamento”. Quanto a tavolino? Quanto sentito? Personaggi viaggiano
su binari incomunicabili, il gioielliere è preciso, ma vive, la madre è solare,
ma si suicida. Binari paralleli e a volte sovrapposti. La bambina, che non è
abbandonata, ha un’immagine fervida e vuole capire le proprie origini.
§§§
Libro per me disturbante, inquietante, letto
voracemente e poi lasciato lì. Personaggi contraddittori come contradditoria è
la vita, restano irrisolti, non c’è soluzione o catarsi finale. Interessante una
citazione di Deleuze fatta dalla stessa Comencini in un’intervista, “Diffidate
dei sogni degli altri, se siete presi nel sogno di un altro, siete finiti”. Secondo
me è una delle chiavi del libro. Mi è piaciuta molto la capacità della bambina
Caterina di indovinare le vite degli altri, mi pare assomigli molto alla
capacità di scrivere dell’autrice Comencini.
§§§
Un po’ di fatica a leggere, desiderio di
proseguire, ma ho avuto resistenze, ho dovuto interrompere, emergere da tanto
dolore. Padre gioielliere, Sebastiano, Daniele, poi i reduci che compaiono nel
racconto e si portano il dolore della loro storia. Tagliati fuori tempo
addietro, non riconoscono il mondo di oggi. Mamma di Caterina: aver chiuso
fuori il passato della figlia è una responsabilità pesante. È un passato di
libertà, prima della crescita con due genitori anaffettivi. Quando la donna si
accorge di non aver più nulla da fare (“la figlia è riuscita”), e non ha più il
compito che si era data, abbandona figlia e marito e se va. C’è una frase
chiave nel libro, “quando sono disposta ad entrare nel tuo mondo, tu abbandoni
e te ne vai”, rivolta a Sebastiano. La scrittura stenografica è in sintonia con
la storia per come è sintetica.
§§§
Istintiva antipatia per Caterina e Daniele,
resistenza alla scrittura che descrive il dolore (vedi Nadia Terranova e altre
autrici recenti), scrittura che allontana. Volevo leggere per finire. Due vite,
due parti, ho preferito la prima sebbene estrema, la seconda più banale. Interessante
il ritorno alle origini concesso a Caterina dal papà gioielliere dopo il successo
scolastico. L’adozione è un tema forte, ma è la ricerca di sé stessi, con il
ritorno alle origini, il tema scelto da Comencini. Ritorno non felice. Lei sta
sul traghetto, è quieta, ma non felice, mi ricorda I giorni dell’abbandono della
Ferrante. Libro non banale, passaggi saltati, da approfondire, da parte della
stessa Comencini. Madre che cambia la figlia che non è riconoscente.
§§§
Irritazione nel leggere il libro, l’autrice
vuole piegare le sue storie alle sue idee morali forti, alle sue visioni che
vuole comunicare al mondo. Estremizzazione della sofferenza, passando
attraverso le strade più difficili per riuscire a sopravvivere. Narrazione un
po’ banale, l’autrice si serve di un linguaggio apparentemente duro, rozzo,
toglie gli aggettivi, come insegnano nelle scuole di scrittura. Invece che
“scarnità” c’è povertà di scrittura. Storia al servizio delle idee, vedi
vicenda della prigionia nell’isola greca, il vecchio cieco e saggio. Qual è il
messaggio, oltre a essere ivi, nonostante tutto? Uccidere padre e madre per
essere vivi davvero. Così accade all’inizio per Caterina, ma la storia è
inverosimile. Poi viene fatta fuori anche la seconda famiglia (la madre).
poiché abbiamo appena letto la Strout, il confronto è inevitabile e c’è un
abisso, ma il bello del gruppo è proprio questo.
§§§
Nessun commento:
Posta un commento