ELENA LOEWENTHAL
Elena Loewenthal nasce a Torino nel 1960
da famiglia ebrea. Laureata, vedova dello scrittore Massimo Foà, è studiosa di
cultura ebraica, insegnante di filosofia all’Università, scrittrice e
traduttrice.
NESSUNO RITORNA A BAGHDAD (2019)
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Mi è piaciuta molto la scrittura fresca,
evocativa, moltissimo l’atmosfera di Baghdad. Faticosi invece i salti temporali
e di soggetto. Storia avvincente con molti temi, guerre, relazioni
interpersonali e soprattutto maternità. Mi ha colpito il “cinismo” di molti
personaggi, l’allontanarsi senza rimorsi. Non vogliono tornare al passato, ma
la negazione della nostalgia accentua i ricordi. Mi aspettavo una conclusione
circolare, del viaggio più lungo di Norma, chiedo a voi cosa intendesse con
questo l’autrice. Trovo una scelta coraggiosa lo scrivere di un tempo e di un
luogo così particolari, non vissuti nella realtà dall’autrice. Entrare in
quella atmosfera certamente non è facile, forse per questo la psicologia dei
personaggi non viene approfondita.
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Il libro mi è piaciuto abbastanza, per
diverse ragioni:
– perché è una saga familiare, complessa e intrigante
– perché il medio–oriente è affascinante
– per il paragonare Baghdad ai profumi, al gelsomino
– diaspora in tutto il mondo, i personaggi guardano solo
avanti, senza eccessivi rimpianti
– nuova forma di Shoah, ebrei iracheni cacciati nel 1941
– il concetto di viaggio come provvista di ricordi, fame
di nostalgia
Non mi è piaciuta invece la ripetitività,
nonostante i personaggi interessanti.
Mi hanno colpito molto:
– l’esistenza di una comunità arabo/ebrea dai tempi
dell’esilio di Babilonia
– il personaggio di Regina, da single convinta a ebrea
ortodossa
– le diverse esperienze di vita.
Nostalgia e sradicamento mi hanno
affascinato.
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In risposta a chi chiedeva del viaggio più
lungo, è quello dal letto alla sedia a rotelle. Il libro mi né piaciuto molto
in seconda lettura, all’inizio gli sbalzi di tempo sono stati faticosi, poi ho
potuto inquadrare i personaggi con le loro date di nascita. È stata una
scoperta quella degli ebrei iracheni, non li conoscevo, con personalità di
gruppo unica, poco integrati, parlano arabo tra loro anche se vivono negli
Stati Uniti. Bello l’inizio, la saga familiare. Non trovo vi sia cinismo ma
abitudine, è normale per queste persone il sapere di dover andare via.
Bellissimo il finale con il profumo del gelsomino dentro.
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Più che cinismo, vedo il nonsenso della
vita, il viaggiare come matti, il “l’amore è stato con me tutta la vita, me lo
tengo”. Data di nascita, boh, data di morte? Cancellata. Mi è piaciuta molto la
festa a casa del nonno, erano tutti lì. Famiglia, religione, umanità.
Personaggi volutamente confusi, ridotti a due tratti di matita, non definiti.
Grazie per la risposta sul viaggio, non avevo capito.
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Mi piace molto la sensibilità
dell’autrice, anche se ho fatto un po’ fatica a ricostruire i salti nel tempo.
L’elemento che mi è piaciuto molto è il non giudizio sulle azioni dell’altro.
Ad esempio, sulla madre che abbandona i figli, ma solo perché in quella cultura
una vedova era come morta, vedi il dialogo tra Norma e Violet, dialoghi che
lasciano interdetti razionalmente, ma non vengono giudicati. La cultura ebraica
mi piace molto.
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Dell’autrice avevo già letto Attese e
diverse traduzioni, mi aspettavo dunque qualcosa di più. Il libro non mi ha
coinvolto. Non vedo cinismo, ma spietatezza: bisogna sopravvivere. Se a una
vedova giovanissima non è dato vivere, deve trovare la sua strada da sola.
Rapporti stranianti, mancano gli affetti. Mi hanno colpito profumi e puzze che
uno non può non portare con sé. Mi ha colpito molto questo “andare per
vocazione”, un nomadismo dell’anima, un andare che è un disperdersi. Come
Israele, che sembra volersi radicare, ma sarà costretto ad andare, questi
arabi/ebrei erranti senza confini sono senza legami, se no non ce la fai. Il
tema dominante è la nostalgia, che può colpire tutti noi. Ad esempio, il mio
Friuli con ricordi non veritieri è fonte di nostalgia costante perché non ci
posso tornare. Qualcosa di irraggiungibile. Esigenza profonda, costruzione di
un passato, la nostalgia appartiene a tutti coloro che hanno lasciato qualcosa
di cui non ti puoi liberare. La dispersione è ben resa, evoca in me l’immagine
della pula del grano.
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Alcune note sparse, a partire dalla
prolissità, pregio e difetto al tempo stesso, un po’ come le storie di famiglia
raccontate dalla nonna.
Sulla difficoltà di orientarsi nel tempo,
ho trovato su Intenet un’indicazione utile: mentre i figli invecchiano Norma
ringiovanisce.
Il lungo viaggio, a mio avviso, è quello a
ritroso lungo la memoria, fino a che Norma/Baghdad si dissolverà in un profumo
di gelsomini.
Il libro parla di nostalgia,
un’appartenenza che non c’è più. Allora la domanda è:
– Si appartiene a un luogo (ius soli, Baghdad)?
– Si appartiene a una famiglia (ius sanguinis, i figli
di Norma)?
– Si appartiene a una cultura (ius culturae, la religione
ebraica)?
Infine, il tema del destino, come se il
viaggio di ogni vita fosse già segnato, ma fosse possibile conoscerlo solo
percorrendolo a ritroso.
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Ho fatto fatica ad arrivare alla fine, non
mi è piaciuto, tuttavia ho letto delle critiche su diversi siti che mi hanno
fatto venire voglia di rileggerlo. Libro prolisso ma con poco sangue,
personaggi con poco corpo. Grande affresco giornalistico, si addentra in
descrizioni pregevoli, tuttavia nella storia famigliare non mi sono arrivate né
la psicologia né l’anima delle persone. Pregevolissimo inquadramento storico,
non valido come romanzo.
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