Cerca nel blog

VINCOLI di Kent Haruf

 

CONSIDERAZIONI GENERALI


Libro molto duro, crudo, triste ma molto bello: la storia di questo padre padrone è uno scorcio di vita americana di un uomo che tiene in bassissima considerazione le persone; è narrata con una grande capacità.

Triste, drammatico ma bello, bella la descrizione anche del padre nonostante la crudeltà.
Più che i personaggi è l’ambientazione che mi ha colpito; le similitudini che utilizza sono molto concrete e legate alla vita dei personaggi del luogo.

Avevo già letto Le nostre anime di notte e non avevo apprezzato il soggetto e il tono da feuilleton; con Vincoli consolidato le impressioni che ho avuto all’epoca: lo stile è scorrevole anche se lento e adeguato al contesto che viene creato.  Quello che mi convince meno è la definizione dei personaggi.

I PERSONAGGI, LA FAMIGLIA, I VINCOLI
Di questo triangolo familiare padre-figlia-figlio colpisce la dinamica, a tratti terrificante. La figura di Edith, che arriva a fare un gesto estremo ci pone di fronte alla domanda: è incriminabile? Possiamo considerarla colpevole, data la vita che ha trascorso? In realtà siamo portati a empatizzare con lei nonostante il suo gesto estremo.

La vicenda umana dei protagonisti mi ha chiarito il titolo: i legami umani, in questo caso limitati alla famiglia, sono talmente forti da impedire la propria vita al di fuori di essi, come nel caso esemplare di Edith.

Non ci sono personaggi che abbiano una variazione nella propria vita: restano sempre gli stessi quasi fossero fatti della stessa della terra sabbiosa che coltivano. L’unico che avrebbe potuto avere una evoluzione è Sanders, il narratore (che racconta ad un interlocutore che non sappiamo chi sia e quindi finisce per essere più vicino al lettore). Proprio questa immutabilità spiega i vincoli che imprigionano tutti i personaggi che incontriamo.
Appare impossibile lasciare quella casa, tanto che alla fine Edith la brucia perché non è possibile trovare un'altra soluzione.

Edith resta un personaggio misterioso e difficile da comprendere. Probabilmente proprio perché la conosciamo dal racconto di Sanders che non può spiegarla fino in fondo.

Nella descrizione dei personaggi mancano le sfumature: c’è il padre padrone da un lato, la vittima Edith dall’altro (che giustamente ha stimolato in tutti una comprensione).
Ma basta questo per un romanzo? Ci sono dei punti che accennano ad un padre non solo violento ma perfino incestuoso, eppure su questo c’è soltanto un accenno soltanto mentre ritengo che avrebbe meritato più approfondimento: le violenze fisiche e morali che deturpano le esistenze dei personaggi non vengono indagate né descritte né approfondite.

Paradossalmente la condizione migliore la donna indiana che vive sola: nonostante sia sola (o forse proprio per questo) anziché sottostare al mondo maschile riesce a tirare su un figlio in un modo dignitoso; la condizione della donna per il resto è particolarmente dura.

L’episodio dell’incendio ha anche un punto di vista diverso, quello del ragazzo che assiste alla partenza del fuoco ma viene fermato da Edith perché non intervenga. Edith vuole mettere fine a questa vita disgraziata, e l’altro, non intervenendo, avvalla la decisione di Edith, la capisce e forse la condivide; quantomeno non si oppone.

Edith sembra rifiutarsi di essere salvata perché si sente vincolata ad un ruolo che la sua famiglia le ha imposto, in quanto vittima che non riesce ad uscire dal suo trauma. Secondo me i vincoli sono quelli di violenza e che quindi non possono essere superati anche volendo.
Edith ha rinunciato all’unica possibilità di amore che aveva perché sopraffatta dal senso del dovere dopo la morte della madre.

Le poche altre figure che girano intorno ai protagonisti principali sono flebili come un fiammifero che brucia velocemente e si spegne.

L’ AMBIENTE, L’ AMERICA PROFONDA
Il romanzo ci permette di vedere da vicino una parte della colonizzazione dell’Ovest in un periodo che va dall’inizio del 900 a giorni più vicini a noi.

La descrizione di questa vita provinciale per molti aspetti è lontana dalla vita provinciale che possiamo immaginare oggi e in Italia: l’isolamento delle persone mi ha affascinato per la storia dei singoli personaggi, che conducono le loro esistenze in un isolamento che restituisce al lettore quella parte dell'America più vasta e arcaica, così lontana dalle città americane che vediamo nei film.

Il senso di oppressione è presente in tutto il libro: il momento dell'incendio è preparato per tutta la durata del romanzo e la lettura prosegue in apnea, come si fosse in attesa che si verifichi.
L’aridità dell’ambiente, la fatica ciclica del lavoro senza mai speranza di un’uscita lasciano fin dall’inizio l’impronta sul libro.

Mi sono sembrate cose già sentite e viste: si sovrappone a tante immagini e letture precedenti ma soprattutto a quelle di film che trattano l’America rurale, il suo folklore. A questo immaginario non ha aggiunto molto, ma ci sono tanti temi interessanti: la fissità della vita, la durezza, i legami familiari; l’immagine di Edith, così fissa che però non perde una sua naturale dolcezza e positività nel rapportarsi con gli altri fuori dalla famiglia; il rapporto tra narratore e Edith, singolare ma tipico di certe situazioni di provincia.

Mi ha colpito la lentezza del tempo che passa sempre in questo luogo brullo.
I coloni hanno lo stesso sentire della terra che lavorano anche se sono arrivati da poco.
Sembrano non avere sentimenti e sono ridotti semplicemente a sopravvivere, facendolo in simbiosi con la terra: tutti sembrano vivere controvoglia e nessuno riesce ad uscire dalla propria situazione.

Soprattutto nella prima parte ho letto un legame tra lo sfruttamento della terra e la devastazione della famiglia protagonista: in questo senso sono d’accordo con chi ha parlato della positività della figura della madre indiana che è, proprio per la sua origine, portatrice di una storia diversa, storia che con quella terra ha un rapporto più profondo.

LO STILE
La scansione della narrazione è molto ben calibrata, addirittura troppo: la costruzione è fin troppo ragionata ma la narrazione è bella.

La scrittura mi è inizialmente sembrata molto lineare, cosa che è stata apprezzata da molti, però in certi tratti raggiunge una qualità che la rende non banale. In un’intervista dice che scrive ad occhi chiusi sulla macchina da scrivere quasi fosse un flusso mentale e solo successivamente rielaboro

Forse la volontà di Haruf è di lasciare questa fotografia raccontandola nel modo più asciutto possibile ed è comprensibile che possa essere considerato poco gradevole: la voce narrante di Sanders è quella di una persona interna agli avvenimenti e mette il lettore nella condizione di vedere da fuori quello che accade, come a voler stimolare nel lettore lo sforzo necessario per capire quello che nel racconto non viene descritto direttamente.

Nessun commento:

Posta un commento