17.2.2016
Volevo aggiungere alcune considerazioni su ‘Aprile spezzato’ di Ismail Kadaré
- La legge del kanun,
come del resto la democrazia della polis greca (altro legame con la cultura nel
concetto della sacralità dell’ospite), è un patto tra uomini in cui le donne
non hanno alcun peso. E’ una legge che afferma il principio clanico o sociale
patriarcale, dove la libertà individuale non ha importanza. Mi colpiva come
queste leggi fossero benaccette e partecipate dai componenti la comunità
(almeno Kadaré non sottolinea alcuna defezione a tal proposito, solo Gjorg
mostra dubbi e resistenza amletica, ma non ribellione). Come se non ci fosse
scollamento tra il basso e l’alto della società.
Ciò mi fa pensare a come
invece la cosa pubblica (leggi, rappresentanza politica, stato) sia sempre più
lontana dalla partecipazione e condivisione dei singoli nelle nostre società
occidentali. Società occidentali dall’illuminismo e la rivoluzione francese in
poi basate sulle libertà individuali. Ma ci sentiamo sempre meno parte di una
comunità, come se da noi il privilegiare l’aspetto delle libertà individuali
avesse accentuato lo scollamento con il sociale.
Ovviamente non voglio
dire che per questo mi attira il kanun o un sistema societario dove l’individuo
non conta. E dove la donna scompare addirittura nel privato delle quattro mura domestiche.
Ma mi fa pensare che forse anche da noi c’è uno squilibrio. Che qualcosa va
ripensato. Ma il discorso è ovviamente più complesso e porta ad altro.
- I personaggi principali
sono uomini: la vittima/carnefice Gjorg degli altipiani e lo scrittore di città
Besian, curioso e ammirato da un mondo mitico, di imprese titaniche in un
ambiente duro ed ostile (contrapposto al ‘pallore’ del mondo cittadino al quale
appartiene). Un’altra figura cui è dato spazio nel romanzo è il rappresentante
e amministratore centrale della legge stessa, Mark Ukacierre. Personaggio tormentato
che ironicamente soffre di disturbi psicosomatici o depressivi che, sembra di
capire, trovano giovamento in viaggi di ricognizione amministrativa. Buffo
anche che lui, che ne è il responsabile, debba ricorrere a un prete per la
lettura e applicazione del kanun.
- Il viaggio è un altro
tema interessante. Tutti i personaggi considerati sono in viaggio o pensano che
il viaggio sia una soluzione (Ukacierre). Per necessità curiosità lavoro. E’ un
romanzo ‘on the road’. Gjorg lo deve fare nella prima parte per recarsi dai
signori di Orosh cui versare l’obolo di sangue, ma nella seconda parte con i
vari personaggi che incontra e di cui ascolta le storie, è un’occasione se pur
tardiva di conoscenza e di crescita individuale, nei 30 giorni di tregua prima
di essere ucciso. Anche Besian tocca con mano lo iato tra la sua ammirazione
intellettuale di partenza e la vita reale dell’altipiano. Mentre una prima
parte del viaggio sembra mantener viva la curiosità e anche ammirazione, il
casuale incontro con la vittima Gjorg sembra segnarne una crisi, una
critica. L’unico personaggio femminile
cui, di riflesso, è dato qualche spazio è Diana, la moglie. Diana che ama il
marito, lo ammira per i suoi libri, il suo sapere, la sua curiosità, ma via via
nel viaggio, dopo il simbolico incontro con Gjorg, le situazioni che seguono la
vedono sempre più distante, assente dalla partecipazione o condivisione con
Besian. L’acme è quando entra nella
kulla a fine viaggio e ne esce cambiata, sconvolta, svuotata (ricorda un po’ la
protagonista di ‘A Passage to India’ e il misterioso e simbolico episodio delle
grotte). Lei e Gjorg due vittime del kanun, più che innamorati direi. Lo
sguardo che si scambiano nell’unico incontro è una finestra che apre speranze
disattese nella dura legge dell’altopiano. (p 167: ‘ Come una farfalla sbattuta
da una nera locomotiva, Diana era stata colpita dal dramma dell’Altopiano ed era
stata vinta’).
- Altro spunto è come il
sangue assurga a simbolo importante. L’esposizione del sangue sulla camicia del
fratello ucciso di Gjorg, che ricorda la necessità della vendetta. Mi richiama
l’esposizione del lenzuolo macchiato di sangue della prima notte di nozze, a
testimonianza dell’onore dello sposo (garantito dalla verginità della sposa). E
il sangue che accompagna la vita (nascita, sangue mestruale), ma anche la morte
nelle società patriarcali viene utilizzato simbolicamente per dire altro.
shara ponti
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