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Il tempo è la scuola dove
impariamo/il tempo è il fuoco nel quale bruciamo (Delmore Schwartz)
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Lei si libera dal senso di colpa
leggendo i rapporti medici. Contrasto tra la ragione e le viscere che le
mandano messaggi diversi.
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Ho visto questo libro come un
susseguirsi di stati d’animo, descritti con estrema precisione.
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Leggendo questo libro già sapevo
di cosa parlava: però la cosa mi intrigava.
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Anche io ho avuto un approccio
difficile, perché ho vissuto il mio anno di pensiero magico e pensavo: io sono
stata più brava di lei!
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La scrittrice è brava e scrive
molto bene: però io avrei scritto delle cose più strazianti ancora.
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La sua scrittura chirurgica da
giornalista mi ha colpito: un approccio pieno di informazioni e di dati.
Scavare dentro di se genera una trama e la trama è la malattia.
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Penso che non sia facile scrivere
un libro come questo, sopratutto perché si immerge nel dolore. Il che vuol dire
anche autocommiserarsi. Lo scorrere del tempo – il Pensiero Magico – basta un
gesto, un episodio perché tutto possa tornare come prima. Mi ricordo in
particolare la sostituzione delle luci nell’albero di Natale. In ultimo il
riferimento alla Geologia: cambiamenti che diventano assestamenti,
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Di questo libro ho appena letto,
sbagliando, la versione teatrale. Avendo avuto anche io il mio anno di Pensiero
Magico l’ho trovato scioccante. Mi ha rimosso dentro cose che stavano lì. Il
lutto è un argomento talmente intimo che è difficile da affrontare.
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Un libro sull’invisibilità, sul
rifiuto: lei parla di quello che le è successo, il linguaggio è il ritiro delle
parole.
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Il dolore sotto moltissimi aspetti
fa bene. Quando stai in questo modo di merda, sei felice. Non l’ho compreso
fino in fondo perché di libri più belli sul dolore ne ho trovati tanti: Pascoli
per esempio.
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Non ho trovato nessun insegnamento
in questo libro e non ho voluto che mi entrasse in profondità. E ho percepito
un senso di estremo fastidio per tutte quelle case dove si dipana la vita
dell’autrice.
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Dopo le prime venti pagine
pensavo: perché rivivere un incubo? Qui è la mi sono poi arrivati degli spunti
di lettura: una banalizzazione del dolore che ho trovato inaccettabile. A me
non mi è sembrato alla fine un libro che ti possa dare degli aiuti.
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Non amo molto questo genere di
Letteratura, altrimenti definita come Autofiction. Ma per questo ho fatto un’eccezione,
leggendolo tutto in un fiato, attirato dalla sua scrittura poetica. Anche se le
pagine dove parlava di bollettini medici e diagnosi delle malattie le ho
saltate correndo verso le parole successive. Al di là di tutto mi ha colpito
quando Joan Didion parla del suo rapporto con il mondo del cinema, qualcosa che
oggi non c’è quasi più.
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