E’ notte quando Hagos e Saba, fratello e sorella, arrivano in un campo profughi in Sudan con la madre. A causa della guerra fra Eritrea ed Etiopia, sono stati costretti a fuggire abbandonando la loro città Asmara, la casa, amici e parenti, i loro averi.
Hagos e Saba formano una coppia molto unita, lui è muto, non sa leggere né scrivere, lei è vivace, decisa e combattiva, sperimenta per lui ciò che lui non potrà mai sperimentare per la sua disabilità. Lui vede attraverso di lei la femminilità che la società gli proibisce di mostrare. Il loro legame deriva anche dall’esperienza traumatica vissuta insieme quando uno zio li ha violentati da bambini. Ma questo legame tra loro alimenta pettegolezzi e fantasie.
Nel campo profughi è approdato prima di loro Jamal, costretto a lasciare Asmara e il suo lavoro al Cinema Impero. Jamal ha realizzato il suo “Cinema silenzioso” costituito da un semplice telo, teso tra due pali piantati nel terreno, al cui centro c’è un’apertura attraverso la quale può vedere il film che si svolge dietro lo schermo di stoffa. Jamal guarda Saba con desiderio attraverso lo schermo del suo cinema improvvisato. D’altronde in un campo profughi privato e pubblico si mescolano costantemente, così come realtà e illusione.
Nel campo vivono individui appartenenti a classi sociali diverse, che parlano lingue diverse, con tradizioni e stili di vita diversi. Ci sono vecchi e bambini, uomini e donne di mezza età, ragazzi come Jamal, Saba, Hagos, Zara e Samhiya, che vivono la propria educazione sentimentale e sessuale in questo posto che tutti sperano provvisorio.
Dietro ognuno di loro ci sono storie, desideri, aspirazioni, sogni… Il lettore segue la loro quotidianità nell’accampamento: andare a prendere l'acqua al fiume, usare la toilette pubblica all'aperto, fare la coda davanti agli alloggi delle organizzazioni umanitarie britanniche; rituali che scandiscono il tempo, l’attesa continua di qualcosa, la noia, la speranza di una situazione che si spera temporanea, le pressioni sociali e religiose che regolano e soffocano ogni aspetto della vita.
Soprattutto le donne sono controllate ossessivamente per scoprire ogni comportamento sospetto o deviante. Un campo profughi finisce per cancellare l’individualità di un essere umano, sottoposto a pressioni sociali, eppure la storia di Saba, Hagos e degli altri personaggi, mostra che anche di fronte al peggio si può sopravvivere e ridefinire il proprio genere, la propria sessualità, il proprio modo di amare.
Con l’immaginazione si possono costruire momenti di gioia anche nelle avversità più terribili. Saba, ad esempio, non fa che pensare alla ricerca di alternative, perché la storia di un esilio è anche la storia di un passaggio, quello da un modo di essere ad un altro.
Saba vorrebbe poter completare la propria istruzione, ma la scuola tanto desiderata e promessa, nel campo non arriverà mai. Dovrà accontentarsi delle lezioni di inglese impartite dall’assistente dell’operatore umanitario e non avrà timore di contestarlo quando sosterrà che l’Occidente è superiore in campo umanitario. D’altronde c’è un divario tra le intenzioni degli operatori umanitari e la realtà dei rifugiati, i loro bisogni reali.
Nel campo, Saba fa amicizia con Zahra, arrivata assieme alla nonna mentre sua madre è rimasta in Eritrea per combattere la guerra d’indipendenza, con l’affascinante Samhiya, ma anche con Nasnet una giovane prostituta che accoglie Saba con grande sensibilità.
Quando al campo arriva Eyob, un ricco uomo d’affari, Saba accetta di di fare i lavori domestici per lui e il figlio Tedros, perché il suo obiettivo resta quello di guadagnare per finanziare il suo sogno di continuare gli studi. Mehret, la madre di Saba, comincia a intravedere la possibilità di un matrimonio, ma Eyob sembra più colpito dalla bellezza di Hagos…
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