Cerca nel blog

2023-11-24 Shahram Khosravi, Io sono confine, traduzione di Elena Cantoni, elèuthera, Milano, 2023

 Io sono confine è una straordinaria opera di auto-etnografia, ossia è il racconto-riflessione dell’autore, fuggito dall’Iran, infine profugo in Svezia, ora professore di Antropologia all’Università di Stoccolma. 

Nell’inverno del 1986 Khosravi riceve la cartolina precetto. Dal 1980 è in corso la guerra tra la Repubblica islamica di Khomeini e l’Iraq di Saddam Hussein, una delle più sanguinose della storia contemporanea, centinaia di migliaia gli adolescenti arruolati e tantissimi i morti. Per un anno si nasconde nella casa di campagna del padre sui monti del Bakhtiari, poi decide di espatriare. Io sono confine è il racconto delle esperienze personali sue e di altri migranti clandestini alternato all’analisi etnografica. 

Shahram Khosravi esplora la questione dei confini e dell'attraversamento dei confini nell'era della globalizzazione, analizzando come il sistema-stato-nazione regola i movimenti delle persone. Le frontiere sono un problema solo per i poveri – sostiene – mentre i ricchi possono accedere  a un mercato legale per superarle, quindi la libertà di mobilità per alcuni è possibile solo attraverso l’esclusione organizzata di altri. Nell’attuale regime delle frontiere esiste una ferrea distinzione gerarchica tra viaggiatori “qualificati” come turisti, espatriati, avventurieri, e viaggiatori “non qualificati” come migranti, profughi, persone senza documenti.

Non solo approfondisce la natura dei confini ed il loro utilizzo politico, ma esamina come si configura l'illegalità dei migranti nel mondo contemporaneo, esplora cosa significa essere un migrante "illegale".  Allo stesso tempo offre un ritratto umano dei viaggiatori illegali e una straordinaria riflessione sulle conseguenze umane, sociali e politiche dello sradicamento.

Racconta il difficile momento della partenza, del distacco dalla famiglia, la scoperta di quelle zone della città in cui vivono coloro che cercano di espatriare clandestinamente, la corruzione di guardie e funzionari di frontiera, la vita sospesa di quanti aspettano anni prima di poter tentare l’attraversamento. Di solito si raccolgono in zone vicine a stazioni ed aeroporti, dove cercano di sopravvivere alla ricerca di informazioni, dove possono procurarsi documenti falsi, scoprire vie di fuga. 

Khosravi ci permette di vivere dal di dentro il mondo dei profughi, che risulta assai diverso da quello che appare se osservato dall’esterno, smentisce il racconto dei politici che invece di governare il fenomeno della migrazione lo trattano come un fenomeno essenzialmente criminale e si capisce perché: se di crimine si tratta allora serve solo reprimerlo. Si criminalizzano i migranti e anche le varie figure che aiutano i migranti nel loro percorso. Khosravi non nega che tra i protagonisti dei flussi migratori ci siano anche dei veri propri criminali, ma la realtà della migrazione è complessa, fatta di molte differenze e sfumature, bisogna distinguere - scrive Khosravi - “tra la tratta vera e propria e il passaggio illegale di migranti. Quest’ultimo è un mercato ben più sfaccettato e complesso”, ad esempio, per le popolazioni nomadi delle regioni di frontiera la vita economica e sociale dipende in modo cruciale dalla violazione dei confini, così si offrono spesso come guide per i migranti illegali in cambio di somme modeste.

Io sono confine racconta infine le conseguenze umane, sociali e politiche dello sradicamento, il sentirsi sempre nel posto sbagliato, straniero a se stesso, disorientato, sempre sul confine.

Il libro è stato molto apprezzato dal gruppo  anche se c’è chi ha fatto notare che la lettura risulta faticosa per il dolore che si accumula leggendolo, perché dolorose sono le storie che racconta, ma molto istruttivo perché fa cogliere aspetti mai colti o approfonditi. Tanti i temi e le rappresentazioni dei confini, un discorso complesso e diverso a seconda delle situazioni, il dover far fronte a razzismo e violenza anche quando sei integrato nella nuova società, la consapevolezza che non tornerai mai indietro nel tuo vecchio paese, nella tua vecchia casa, sarai sempre visto come “altro”.

Al di là del dolore che può provocare, il testo è piaciuto moltissimo a chi, impegnato da tempo nell’insegnamento dell’italiano ai migranti e attento alle tematiche della migrazione, si è reso conto che il racconto di Khosravi gli apriva continuamente gli occhi, la mente, lo portava ad allargare lo sguardo al mondo intero, perché noi siamo soliti pensare alla migrazione dall’Africa, ai tanti che arrivano in Libia e poi per mare approdano in Italia, o pensiamo alla rotta balcanica, ma Khosravi ci parla di altre migrazioni, getta lo sguardo su Afganistan e Iran, ci permette di mettere a fuoco passo dopo passo l’itinerario di chi ha scelto di varcare il confine. 

Le situazioni a volte kafkiane che devono superare ha fatto ricordare il film visto di recente “Kafka a Teheran” sull’assurdità della gestione del potere attraverso situazioni quotidiane. 

Un altro aspetto emerso nella discussione è quello della narrazione: i migranti sono costretti a elaborare una narrazione che deve essere credibile per superare l’interrogatorio di tipo poliziesco che devono affrontare, con domande assurde che vanno al di là di qualunque buon senso.  Come capita nel film “Tori e Lokita” dei Dardenne, atto d’accusa a una società in cui gli interessi economici spesso vanno a discapito di civiltà, etica e umanità.

Nessun commento:

Posta un commento