- Joyce, in opposizione a Proust, cerca
la spersonalizzazione dell'autore e una scrittura quanto più oggettiva. Non
c’è ricerca interiore, ma osservazione del mondo e della vita. Tra i
racconti mi ha colpito “Un fatto doloroso”, la consapevolezza di lui di
aver mancato il banchetto della vita
- Fatica iniziale, i protagonisti mi
sfuggivano, poi ho compreso la focalizzazione di questi racconti su “Paralisi
e fuga”. Paralisi data dai pesi che questa gente si porta dietro, fuga
come unica reazione possibile, ma non sempre va bene.
- Senza riscatto. Come nel racconto “Eveline”,
in cui a lei, biglietto fatto, manca il coraggio di andare. Lui resta a
guardare.
- Parole chiare e precise nel raccontare
un paese che pure schiacciato dalla storia e dall'Inghilterra ha prodotto
tanti artisti e tanti premi Nobel. I protagonist sono oppressi
da famiglia, religione e politica
- Cattolicesimo Irlandese così diverso
da quello italiano, è una religione che ti piomba addosso. Poi ci sono emigrazione
e attaccamento alla terra
- Libro coraggioso, di grande denuncia. Senso
di immobilismo, stasi, conseguenza della grande povertà e della politica
della chiesa Irlandese. Denuncia feroce della realtà che Joyce vede nei
dettagli (le cose stanno così) e senza speranza. Tra tutti i racconti
ho preferito “I morti”, in cui passato e presente si perdono (o si
fondono) insieme sotto la neve
- Mi è piaciuto tantissimo il modo in
cui son costruiti i racconti, come acquerelli, le frasi lapidarie, la
parola 'solo', le verità finali che nel racconto non erano emerse: non una
verità ma tante, a seconda di chi parla. Complessità.
Novelle noir, la vita è disperata
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