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venerdì 28 giugno 2013

Commenti dei partecipanti al gdl “via col libro” su “La rabbia del vento” di S. Yizhar

Verbale incontro gdl “via col libro” del 17-06-2013 su “La rabbia del vento” di S. Yizhar

Alcuni suggerimenti e segnalazioni emersi durante l’incontro in relazione alla lettura di “La rabbia del vento” di S. Yizhar:
rivista Limes con monografia su “Una certa idea di Israele”
film “Yentl” con Barbara Streisand
libro di A. Yehoshua “Sionismo e antisemitismo”
libro di Saleen Nassib “L’amante palestinese”

Dunia. Ho scoperto questo libro per caso ed è stata una felice sorpresa. All'epoca della sua uscita (1949) aveva suscitato molte polemiche. A me è piaciuto il modo di raccontare, la scrittura, le atmosfere che evoca, la capacità di osservazione e descrizione della natura, il silenzio. Dai dialoghi che si svolgono tra i soldati emergono fatti importanti che esprimono il senso comune degli israeliani, convinti della giustezza del loro agire. In questo senso mi ha colpito il loro disprezzo verso gli arabi, i vecchi, gli animali. A un certo punto l’autore fa parlare la coscienza critica dell’io narrante, divergente da questo senso comune. Questa voce si fa più pressante e forte di fronte alla scena della madre che trascina il piccolo figlio disabile e in quella parla dell’esilio, pensando anche allo stesso esilio subito dal suo popolo.
Loredana. Nelle descrizioni della natura io vedo una serie di personificazioni, sono numerose insieme a tante espressioni originali e molto significative. Nella seconda parte il libro è invece ricco di similitudini con tanti “come” che si susseguono.
Franco. A proposito del linguaggio, trovo che ci sia molta ricchezza. La letteratura israeliana si è venuta formando all'inizio del ‘900. In essa ci sono molti riferimenti alla Bibbia. Con la nascita dello stato israeliano sussisteva il problema di creare un nuovo linguaggio che non fosse quello della Bibbia. Immagino le ripercussioni di questo fatto sulla letteratura con, tra l’altro, il problema della traduzione.
Mariella. Trovo che dal punto di vista politico abbia un impatto straordinario, però, mi ha disturbato. Mi ha fatto vedere il senso dell’estraneità della guerra, un tiro al piccione dove gli attori tirano fuori il peggio di sé. Mi ha colpito l’amore per la terra. Vi segnalo il saggio di Limes, molto interessante per cercare di comprendere Israele (vedi rif. inizio testo). Sottolineo che l’amore per la terra spinge gli ebrei a considerarla come un diritto loro, e se la terra promessa è occupata da altri, ebbene, bisogna procedere a liberarla. Questo libro mi ha suscitato un doppio feeling: la bellezza del racconto e il disagio verso un conflitto che mi pare destinato a non ricomporsi. Infine, ho notato una questione linguistica espressa, tra l’altro, dal titolo che l’editore italiano ha scelto in contrasto con quello originale che rimanda al nome del villaggio espropriato, cioè, Kirbet Kiza. Mi chiedo da che lingua sia stata tradotta la versione italiana, dall’inglese? dall'ebraico?
Gisella. Quando, all'inizio del racconto, i soldati arrivano sul posto, si stupiscono della bellezza dei luoghi, della natura. A differenza di interventi che mi hanno preceduto, io non ho trovato tanto disprezzo, ho notato una non considerazione verso le persone, che agli occhi dei soldati (e dell’autore)appaiono passive. A questo proposito, mi sembra che gli arabi in questo libro non dimostrino coscienza politica. Mi ha fatto venire in mente il film “Yentl” (inizio testo) con la storia di un’ebrea dell’’800 che pur avendo raggiunto una sua identità in un paese della Mitteleuropa dove vive, decide di lasciarla attratta dal mito della terra promessa. A questo riguardo, ricordo il mito degli israeliani che hanno fatto fiorire il deserto. Un mito, derivante da un fatto reale, cioè che l’acqua l’hanno rubata.
Bruno. Non sono d’accordo sul tema del disprezzo, che per me, invece, emerge da tanti personaggi e momenti del racconto, anche qui si nota la disparità di armi e strumenti tra gli israeliani e questo popolo di aggrediti. La lettura di questo libro mi è piaciuta moltissimo, ho trovato una scrittura elegante, ricchissima. Il racconto porta alla luce temi che stanno alla fonte del conflitto arabo-israeliano, più avanti, col tempo cresceranno, drammatizzandosi sempre più. L’immagine degli arabi che risulta dal libro è terribile, sono considerati alla stregua di bestie, inoltre, mi pare che non siano molte le voci di dissenso da questa visione. Per comprender al genesi del conflitto segnalo l’interessante lettura di “Sionismo e antisemitismo” di A. Yehoshua.
Nadia. Mi è piaciuto molto, è un libro molto ricco. Cito, all'inizio, il pezzo del “pensare”, poi, il rapporto con gli animali che rivela una sorta di volontà di abbruttirsi l’anima, forse, per abituarsi a trattare il nemico come “cosa”, riducendolo all'essenza di bestia. Un modo classico per giustificare la violenza e la sopraffazione. Trovo interessante la parte riguardante i dubbi dell’io narrante, per esempio, quando verso la fine entra in scena la cosiddetta madre-leonessa, dipinta molto bene, questi dubbi si infittiscono.
Bruno. Faccio notare che in Israele l’esercito prevede la leva obbligatoria, inoltre, molti personaggi della politica provengono dall'esercito.

Franco. L’autore stesso ha un passato nell'esercito, quindi, ha avuto trascorsi politici ed è stato un parlamentare. Nel libro mi ha colpito tra l’altro il richiamo frequente all'elemento acqua e anche al fango. In sostanza, questo è un romanzo di guerra che mi ha richiamato alla mente alcuni classici come “Niente di nuovo sul fronte occidentale” e “Un anno sull'altipiano”. 

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