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martedì 17 settembre 2013

Commenti dei partecipanti al gdl "Via col Libro" su "Un divorzio tardivo" di A. Yehoshua

Cari lettori, come convenuto nel nostro ultimo incontro del 16.9.2013 apro una pagina di discussione sul libro "Un divorzio tardivo" di A. Yehoshua attualmente in lettura.
Ogni contributo sarà un arricchimento della discussione orale che facciamo in biblioteca e costituirà una traccia permanente del nostro percorso.
Come introduzione mi permetto di riportare il contributo di Bruno che si distingue per profondità di analisi e ricchezza di contenuti e riporta come incipit uno stralcio da un'intervista all'autore.


Bruno Bechini 1 ottobre 2013
PARLA L’AUTORE
«Metto gli ebrei sul lettino»
«Spesso la follia di una persona serve ai suoi parenti per sentirsi normali. Durante la terapia accade che quando il malato diventa più stabile, gli altri intorno a lui cominciano a manifestare dei disagi... In Un divorzio tardivo emerge la profonda nevrosi del padre che era stata coperta dalla malattia della madre. È venuto per il divorzio, ha un’altra donna... e un figlio che deve nascere da lei, ma scopre che non vuole più lasciare la casa». «Perché alcuni uomini hanno visto la strada giusta, ma la maggioranza ne ha regolarmente imboccata un’altra? Perché... la Diaspora ha prevalso sull’ipotesi sionista che avrebbe... contenuto le dimensioni dell’Olocausto? Non posso arrendermi all’idea che la storia si ripeta... Per questo, così come mia moglie psicoanalista mette il suo paziente sul lettino facendolo tornare indietro nel tempo fino all’origine del suo problema, io ho provato a fare altrettanto con il popolo ebraico». (da Famiglia Cristiana n.34 del 30-8-98)

Riporto quanto sopra per evitare ad altri, leggendo questo romanzo che io ho amato moltissimo (l'avevo già letto due volte, prima della terza con il GdL), lo stesso errore che avevo commesso io: partecipare e appassionarsi a questa vicenda straordinaria di una famiglia, in cui non c'è personaggio che non rechi un carico di sofferenza straziante, come ad una storia privata, (comunque paradigmatica sul problema della follia e sulle dinamiche patogene di ogni nucleo familiare, sia nel rapporto di coppia sia in quello genitori-figli), ma perdendo così di vista il contenuto politico in senso lato del romanzo. Contenuto del resto presente in tutti i numerosi scritti dell'autore, tanto narrativi che saggistici. Cogliere invece qui lo sfondo, richiamato sopra dall'autore, della secolare disputa sulla controversa identità ebraica, nei suoi risvolti storici (Diaspora, Sionismo, antisemitismo e Shoah) e religiosi.(contrasti tra ortodossi, moderati e laici), ovviamente lo arricchisce moltissimo e lo rende anche quanto mai attuale riguardo all'odierna politica israeliana.
Dal punto di vista della tecnica narrativa, il dialogo a più voci, con ciascun capitolo riservato al vissuto di uno dei componenti della famiglia (scelta comune ad altri romanzi di Yehoshua: L'amante e Il Signor Mani), può sicuramente creare qualche difficoltà di lettura, ma dà al confronto fra i personaggi una profondità altrimenti impossibile.
Anche il ricorso al flusso di coscienza, in brani privi o quasi di punteggiatura, può presentare lo stesso inconveniente (anche se confesso che per ben due letture, nella febbre del totale coinvolgimento e identificazione nei personaggi non me ne sono quasi accorto), ma caratterizza in modo affascinante alcune figure (Gadi, Kadmi, Dina, Calderon e Na'omi), sottolineandone la forte tendenza all'emotività, mentre è completamente assente negli altri, di cui si evidenzia così per contrasto la maggiore propensione alla razionalità.
Perfino la dislocazione temporale del penultimo capitolo è a mio parere un colpo da maestro, perché anticipa la rivelazione dell'”incidente”del finale, lasciandolo però sfumato (in tutte le pagine, del resto, Yael fatica a ricordare gli avvenimenti risalenti a tre anni prima), così da permetterne una lettura in qualche misura estraniata, ma non per questo meno avvincente.


Non mancano, per concludere, nella trama moti punti oscuri (per me quello più interessante è la visita che Connie, la compagna americana del protagonista fa a non si sa a chi: personalmente mi piace pensare a Na'omi, ma non ho alcun punto di appoggio), ma non credo che si tratti di sviste dell'autore, comunque possibili in una trama così complessa, ma semmai, come nell'esempio citato, di stimolanti inviti al lettore a dare una propria interpretazione.

3 commenti:

  1. Più che un commento è una prova, visto che quello precedente non è comparso. Comunque, questo libro mi è piaciuto molto, mi ha colpito la capacità di entrare nei personaggi, prenderne la voce e l'anima e trasmettere tutto il pathos. Poi, la vicenda e la dinamica familiare: interessanti e coinvolgenti. Vorrei leggere altro di questo lettore e comprendere meglio i collegamenti con la vita e la storia di Israele.

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  2. Anche a me il libro ha molto affascinato. L'ho trovato di difficile lettura ( soprattutto nella prima parte) per via del suo costrutto molto peculiare, ma tale difficoltà è stata ampiamente compensata dal suo ritmo incalzante e dal suo contenuto molto sfaccettato. Si parla di una famiglia Israeliana profondamente segnata da eventi drammatici (conflitti, lacerazioni, episodi di violenza , rancori, impossibilità/incapacità a comunicare) fino a sfociare nella follia. Follia di una madre pazza e reclusa, ma anche una follia generalizzata a quasi tutti i membri della famiglia.Una famiglia che si è disintegrata ma che non riesce a staccarsi fino in fondo: frammenti condannati a respingersi ed attrarsi senza trovare pace in un "altrove" di normalità. Famiglia come metafora della storia degli ebrei che dalla diaspora si sono illusi di ricomporsi in uno stato proprio ed unito ma si ritrovano in un Israele lacerato che non riesce a trovare una sua " normalità" una sua dimensione di terra e patria comune per tutti loro.

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  3. Amo questo scrittore, ma chiedo aiuto su questo libro che mi ha affascinato e incantato: io non ho capito come finisce

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