- Bellissimo. A un primo approccio il protagonista sembra avere dei problemi, poi emergono umiltà, dolore e capacità di rinascita. Il libro parla di sangue e guerra, ma non turba perché così è la vita.
- Romanzo ricco di humor e poesia. Sembra scritto da un uomo. Ho trovato Jonas un personaggio strepitoso, lunare, fuori dal mondo, nel senso buono. Tutto gli crolla addosso ma, a parte i modi strampalati con cui vorrebbe suicidarsi, lui va avanti a vivere fino a trovare una sorta di pacificazione proprio grazie alla sua abilità di aggiustare le cose e quindi di aiutare gli altri.
- Piaciuto. Le interruzioni con piccole frasi non le ho capite fino
a quando ho letto le note finali. Il luogo di guerra è simbolico. Finale con
redenzione e capacità di ricostruirsi.
- Scorrevole, ma non mi ha convinto del tutto perché ho trovato
troppo semplicistico l’approccio nei confronti di un uomo che vuole suicidarsi
e non si capiscono i motivi della scelta. Anche la depressione è affrontata in
modo superficiale. La seconda parte, della rinascita, è affrontata con poca
forza e consistenza. Sembra una favola.
· Tono favolistico, fantastico. Jonas sa riparare tutto tranne la
sua vita. Sono usati molto i simboli. Non è convinto di uccidersi e parte, va
in un paese dove il fato può farlo finire su una mina. L’albergo è il posto del
ristoro, che protegge. La valigetta degli attrezzi sono gli strumenti della sua
vita.
· La prima parte è la “carne”, gli affetti. La seconda le
“cicatrici”, la voglia di ricostruire. Si parla di violenza: della guerra,
sulle donne. I personaggi parlano poco. Favola bella della pacificazione. La
cassetta degli attrezzi come tavolo di pace.
· Piaciuto soprattutto per i due livelli che si sovrappongono di
disperazione e speranza. Capisce che la sua infelicità è assurda rispetto a
quella di chi vive in guerra. Bellissimo rapporto con la figlia. Frasi staccate
che il lettore deve ricostruire.
· Linguaggio interessante con
eventi e sogni, riflessioni e immagini. L’idea del suicidio è un atto di
narcisismo che si dissolve quando tocca la sofferenza vera.
· Sensazione piacevole, ma non mi ha del tutto convinto perché poco
introspettivo e profondo. Mi è piaciuto il linguaggio e la quotidianità di un
paese nel dopoguerra perché di solito non si pensa al momento della
ricostruzione. Mi aspettavo di più.
· All’inizio c’erano spunti che non capivo bene fino a quando sono
entrata nel linguaggio della favola. Lui è un uomo di pace, che non conosce le
regole della guerra. L’immagine della ricostruzione che avviene una vite per
volta è molto efficace e riguarda anche le donne nella loro nuova casa.
· Mi è piaciuta la tecnica di scrittura, ma un po’ troppo artefatta.
Banale il parallelismo tra Jonas e il paese distrutto dalla guerra e il finale
è prevedibile. Nella prima parte c’è vuoto e silenzio, nella seconda inizia a
percepire sé stesso e il suo corpo e ad ascoltare gli altri. L’hotel è la
metafora della vita umana e la cura di sé e degli altri, intrecciare rapporti
autentici sono gli scopi fondamentali del vivere.
· All’inizio il linguaggio leggero sul suicidio non mi ha convinto.
Nella prima pagina c’è già il finale. Mentre leggevo pensavo a Gaza e stavo
male.
· Libro ricchissimo, costruito ma con un risvolto fantastico,
surreale per poter inscenare quello che succede quando c’è una guerra sia
interiore che esteriore. Lui è l’homo faber che ricostruisce dove c’è la
guerra. Molto simbolico, umoristico, con uno stile che va per sottrazione (alla
Carver e Haruf) e con due parole ti illumina. Il tema è la guerra e la
pacificazione e non importa se non si capisce perché vuole suicidarsi. Si
capisce che è scritto da una donna perché gli uomini sono come tutte le donne
li vorrebbero.
· Interessante. Prima parte un po’ pretestuosa e narcisistica, la
seconda più convincente. Bello il processo di ricostruzione.
· Piaciuto, soprattutto l’idea della cassetta degli attrezzi che
tutti abbiamo dentro. La sua voglia di aiutare gli altri e di ricostruire lo
riappacifica con se stesso.
· Mi sono ritrovata nel mondo nordico che conoscevo. Le tre donne hanno lo stesso nome come archetipo. Anche la simbologia non mi ha disturbato perché c’è un percorso: dai diari e quello che avrebbe potuto diventare fino al suo viaggio.
- Non vuole buttare via né i diari né se stesso. Le cicatrici come l’arte giapponese del kintsugi. Tutto è simbolico. La colomba della pace è la traduzione del nome e cognome del protagonista. L’importanza del corpo: inizia e finisce nudo. La descrizione della pelle che è carne. Le donne che si riuniscono per ricostruire e lo fanno insieme a due giovani uomini che non hanno ucciso, come anche Jonas. E un libro contro la guerra e non vuole essere veritiero, l’approfondimento psicologico lo dobbiamo fare noi lettori
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