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2025-02-03 Hotel Silence di Auður Ava Ólafsdóttir

  • Bellissimo. A un primo approccio il protagonista sembra avere dei problemi, poi emergono umiltà, dolore e capacità di rinascita. Il libro parla di sangue e guerra, ma non turba perché così è la vita.
  • Romanzo ricco di humor e poesia. Sembra scritto da un uomo. Ho trovato Jonas un personaggio strepitoso, lunare, fuori dal mondo, nel senso buono. Tutto gli crolla addosso ma, a parte i modi strampalati con cui vorrebbe suicidarsi, lui va avanti a vivere fino a trovare una sorta di pacificazione proprio grazie alla sua abilità di aggiustare le cose e quindi di aiutare gli altri.
  • Piaciuto. Le interruzioni con piccole frasi non le ho capite fino a quando ho letto le note finali. Il luogo di guerra è simbolico. Finale con redenzione e capacità di ricostruirsi.
  • Scorrevole, ma non mi ha convinto del tutto perché ho trovato troppo semplicistico l’approccio nei confronti di un uomo che vuole suicidarsi e non si capiscono i motivi della scelta. Anche la depressione è affrontata in modo superficiale. La seconda parte, della rinascita, è affrontata con poca forza e consistenza. Sembra una favola.

·       Tono favolistico, fantastico. Jonas sa riparare tutto tranne la sua vita. Sono usati molto i simboli. Non è convinto di uccidersi e parte, va in un paese dove il fato può farlo finire su una mina. L’albergo è il posto del ristoro, che protegge. La valigetta degli attrezzi sono gli strumenti della sua vita.

·       La prima parte è la “carne”, gli affetti. La seconda le “cicatrici”, la voglia di ricostruire. Si parla di violenza: della guerra, sulle donne. I personaggi parlano poco. Favola bella della pacificazione. La cassetta degli attrezzi come tavolo di pace.

·       Piaciuto soprattutto per i due livelli che si sovrappongono di disperazione e speranza. Capisce che la sua infelicità è assurda rispetto a quella di chi vive in guerra. Bellissimo rapporto con la figlia. Frasi staccate che il lettore deve ricostruire.

·        Linguaggio interessante con eventi e sogni, riflessioni e immagini. L’idea del suicidio è un atto di narcisismo che si dissolve quando tocca la sofferenza vera.

·       Sensazione piacevole, ma non mi ha del tutto convinto perché poco introspettivo e profondo. Mi è piaciuto il linguaggio e la quotidianità di un paese nel dopoguerra perché di solito non si pensa al momento della ricostruzione. Mi aspettavo di più.

·       All’inizio c’erano spunti che non capivo bene fino a quando sono entrata nel linguaggio della favola. Lui è un uomo di pace, che non conosce le regole della guerra. L’immagine della ricostruzione che avviene una vite per volta è molto efficace e riguarda anche le donne nella loro nuova casa.

·       Mi è piaciuta la tecnica di scrittura, ma un po’ troppo artefatta. Banale il parallelismo tra Jonas e il paese distrutto dalla guerra e il finale è prevedibile. Nella prima parte c’è vuoto e silenzio, nella seconda inizia a percepire sé stesso e il suo corpo e ad ascoltare gli altri. L’hotel è la metafora della vita umana e la cura di sé e degli altri, intrecciare rapporti autentici sono gli scopi fondamentali del vivere.

·       All’inizio il linguaggio leggero sul suicidio non mi ha convinto. Nella prima pagina c’è già il finale. Mentre leggevo pensavo a Gaza e stavo male.

·       Libro ricchissimo, costruito ma con un risvolto fantastico, surreale per poter inscenare quello che succede quando c’è una guerra sia interiore che esteriore. Lui è l’homo faber che ricostruisce dove c’è la guerra. Molto simbolico, umoristico, con uno stile che va per sottrazione (alla Carver e Haruf) e con due parole ti illumina. Il tema è la guerra e la pacificazione e non importa se non si capisce perché vuole suicidarsi. Si capisce che è scritto da una donna perché gli uomini sono come tutte le donne li vorrebbero.

·       Interessante. Prima parte un po’ pretestuosa e narcisistica, la seconda più convincente. Bello il processo di ricostruzione.

·       Piaciuto, soprattutto l’idea della cassetta degli attrezzi che tutti abbiamo dentro. La sua voglia di aiutare gli altri e di ricostruire lo riappacifica con se stesso.

·       Mi sono ritrovata nel mondo nordico che conoscevo. Le tre donne hanno lo stesso nome come archetipo. Anche la simbologia non mi ha disturbato perché c’è un percorso: dai diari e quello che avrebbe potuto diventare fino al suo viaggio.

  • Non vuole buttare via né i diari né se stesso. Le cicatrici come l’arte giapponese del kintsugi. Tutto è simbolico. La colomba della pace è la traduzione del nome e cognome del protagonista. L’importanza del corpo: inizia e finisce nudo. La descrizione della pelle che è carne. Le donne che si riuniscono per ricostruire e lo fanno insieme a due giovani uomini che non hanno ucciso, come anche Jonas. E un libro contro la guerra e non vuole essere veritiero, l’approfondimento psicologico lo dobbiamo fare noi lettori 

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