Nel 2012 Vittorio Longhi vive a Bruxelles, dove dirige il sito internazionale di informazione Equal Times. Si occupa di diritti umani, di economia, di migrazione, collabora con diverse testate giornalistiche italiane e straniere, dal 2007 si occupa per conto di varie agenzie dell’Onu della formazione di giornalisti di paesi in via di sviluppo.
Il 5 settembre mentre si trova all’aeroporto di Amman in procinto di rientrare a casa, dopo aver visitato il campo profughi di Zaatari nel nord della Giordania, riceve un messaggio dalla Svezia da una certa Aida che si presenta come una cugina eritrea e gli chiede se ha notizie di suo padre Pietro partito mesi addietro per l’Eritrea e di cui non si sa più nulla.
Fino a quel momento Vittorio non si è mai interessato alle sue origini eritree, né si è mai posto domande sull’origine del suo nome e cognome, né si è preoccupato di avere notizie del padre. D’altronde suo padre lo ha abbandonato da piccolo per cui è cresciuto con sua madre e i nonni materni.
Rispondere ad Aida o far finta di niente? Vittorio esita, tergiversa poi alla fine risponde e da quel momento inizia un percorso che lo porterà a riscoprire le proprie origini, la sua metà africana, la storia della sua famiglia, una storia di meticciato lunga quattro generazioni.
Ha ventisei anni Giacomo Longhi quando dal Piemonte arriva in Eritrea, nel 1890, come ufficiale della spedizione coloniale italiana. Nella prima fase della colonizzazione italiana le autorità coloniali tollerano, anche se non incoraggiano, che gli uomini abbiano una relazione more uxorio con una donna africana, la “ madama”, piuttosto che relazioni con le prostitute. Giacomo si unisce con Gabrù, una ragazza di sedici anni, da cui ha due figli, Vittorio e Amedeo, che abbandona quando rientra in Italia. I figli nati da queste unioni costituiscono una nuova classe sociale difficile da collocare, la realtà dei meticci è uno dei tanti drammi scaturiti dalla colonizzazione, dramma che arriva fino ai giorni nostri.
Ripercorrendo la storia della sua famiglia Vittorio apre uno spiraglio su una pagina della storia d’Italia, spesso rimossa dalla coscienza degli italiani, e sconosciuta ai più; nello stesso tempo è portato a riflettere sull’identità, sulla cittadinanza negata, a scoprire il legame tra storia personale e la Storia, tra le migrazioni attuali, le stragi del Mediterraneo e la colonizzazione italiana, violenta come tutte le colonizzazioni. Vittorio Longhi racconta il percorso attraverso le proprie origini e appartenenze, e allo stesso tempo ci porta in un viaggio che unisce il colonialismo italiano nel Corno d Africa e il presente in cui viviamo.
In generale il libro è stato apprezzato dalla maggioranza del gruppo:
1) è’ piaciuto per lo stile semplice, per la complessità degli argomenti, per la rilevanza che il tema dei meticci ha ancora nel presente, per le figure di donne che non si arrendono mai e si trovano ad affrontare una società patriarcale e razzista. Si imparano alcune cose sull’Eritrea e sulla realtà dei meticci che si trovano a vivere tra due culture diverse;
2) una lettura interessante, una storia familiare che evoca l’immagine di un sasso gettato nello stagno, i cerchi si allargano sempre di più, sono tanti come i temi trattati: il colonialismo, la situazione della donna, il razzismo, il meticciato, il collegamento con l’attualità. Il rifiuto del padre da parte del protagonista sembra significativo perché la paternità non è solo una questione di sangue, come la storia di chi adotta un bambino dimostra;
3) un altro intervento mette in risalto i personaggi femminili, come quello di Gabrù che cresce con enormi sacrifici i due figli meticci, e di Loretta, coraggiosa madre single abbandonata dal compagno Pietro, figlio del primo Vittorio, che finisce per comportarsi come il nonno Giacomo colonizzatore italiano;
4) non è all’altezza del Re ombra di Maaza Menghiste ma è un libro che offre molti spunti anche sul tema delle donne, sul patriarcato, sul tema del meticciato e dell’identità che non è mai fissa, immutabile né per il singolo né per un popolo;
5) infine c’è chi l’ha trovato interessante per il tema dei meticci, effetto collaterale del colonialismo, ma a tratti noioso, nel sottofondo la sensazione che l’autore, giornalista, abbia voluto cimentarsi con un testo letterario per dimostrare di esserne capace.
Nessun commento:
Posta un commento