Con questo romanzo Namwali Serpell offre un ampio affresco multigenerazionale del suo Paese, lo Zambia. La storia ha inizio sulle rive del fiume Zambesi, il titolo originario "The Old Drift" si riferisce appunto al primo hotel costruito, intorno al 1900, vicino alle Cascate Vittoria.
Namwali Serpell presenta tre famiglie, una zambiana, un'italiana e un'indiana i cui destini si intrecciano nel corso delle generazioni, dagli inizi del periodo coloniale fino a un futuro prossimo in cui mini-droni non più grandi di zanzare monitorano la popolazione.
Il racconto copre aspetti noti e meno noti della storia del paese: la colonizzazione britannica e il suo razzismo ordinario e paternalistico, la lotta per l'indipendenza, la costruzione della diga di Kariba, le ambizioni del programma spaziale dello Zambia subito dopo l'indipendenza, la tragedia dell’epidemia di AIDS, i tentativi di trovare un vaccino e il lento avanzare della corruzione e dei traffici di ogni genere che minano le fondamenta di un nuovo Paese.
Riguardo allo stile l’autrice adotta diversi punti di vista, quello dei coloni britannici, quello degli ingegneri italiani di dighe, la voce di una famiglia di commercianti indiani, quelle dei giovani zambiani, desiderosi di contribuire alla costruzione della loro nuova nazione, quella della generazione successiva più disillusa ma sempre abile nell'intraprendenza. Una polifonia dominata da voci femminili.
Il racconto è intervallato da un coro di zanzare (che svolgono il ruolo di un coro antico), che volano imperturbabili da un essere umano all’altro, senza curarsi del colore della pelle, commentando con ironia le vicende e le peripezie umane.
Nel gruppo c’è chi ha amato il romanzo che si presenta come un affresco dalle dimensioni eccezionali (più di 800 pagine), che spazia dal Piemonte all’Inghilterra, dall’Europa all’Africa e all’India, che affronta l’identità di una nazione, la difficile costruzione dell’identità dei popoli africani, ma anche le questioni del femminismo, del razzismo, del colonialismo e delle indipendenze, le tragedie legate all’AIDS. E lo ha apprezzato anche da un punto di vista letterario, in quanto l’autrice è abile nell’intrecciare storie individuali con eventi più grandi. Un romanzo corale dalle molte sfaccettature con un finale fantascientifico.
C’è invece chi lo ha apprezzato solo in parte, a causa della lunghezza e complessità del racconto, per cui per non perdersi occorreva ricorrere all’albero genealogico presente nelle prime pagine, riconoscendo comunque di aver apprezzato varie parti, i personaggi femminili, il tema del meticciato, dell’occidente conosciuto attraverso la violenza coloniale, il tema dei virus, della tecnologia e della scienza con chiari riferimenti all’oggi. La tecnologia ha un ruolo importante nel romanzo, vista anche come un tentativo di controllare la natura e i cittadini: il tema delle dighe, dei droni, di piccoli chip impiantati nelle dita e di uno schermo incorporato sul palmo della mano.
Anche chi ha ammesso di non averlo letto integralmente si è incuriosito alla vicenda del visionario Edward Mukula Nkoloso con il suo folle programma per permettere allo Zambia di conquistare lo spazio prima degli Stati Uniti e dei Russi. Personaggio realmente esistito Nkoloso (1919-1989) ha partecipato al movimento di resistenza zambiano e in seguito è diventato famoso per aver tentato un programma spaziale con i suoi Afronauti. Online è possibile trovare dei video su di lui e gli Afronauti.
Namwali Serpell, è nata nel 1980 nello Zambia, vive a New York e insegna presso l’Università di Harvard. È stata selezionata per Africa 39, un progetto che mira a identificare i migliori scrittori africani under quaranta. Nel 2015 ha vinto il Caine Prize con il racconto The Sack, ma è con il suo primo romanzo Capelli lacrime e zanzare che si è imposta sulla scena letteraria mondiale. Salman Rushdie lo ha definito «straordinario, ambizioso, evocativo, un libro impressionante, che spazia abilmente tra romanzo storico e fantascienza, muovendosi fra dibattito politico, realismo psicologico e ricco favolismo».
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