Cerca nel blog

domenica 2 novembre 2014

«Io ed Emerenc, storia di una passione» Parla Magda Szabó, la grande scrittrice ungherese di cui Einaudi pubblica il capolavoro «La porta»

di Maria Serena Palieri

Magda Szabó, in chiusura di intervista a sorpresa, ridendo, ci chiede: «Sa qual era l'argomento della mia tesi di laurea? La cura della bellezza femminile nell'età romana». E lei, signora, cosa scoprì all'epoca? Le antiche romane, come vuole la tradizione, usavano davvero il latte di capra? «Sì, ci si immergevano. Ma conoscevano anche altri segreti, come i poteri del mercurio contro le rughe». Viene da pensare che qualcuna di quelle pozioni d'epoca classica Magda Szabó l'abbia usata, nel corso dei decenni, perché a 88 anni gli occhi verde chiaro le splendono su una liscia epidermide color latte. C'è qualcosa di infantile, in questa grande dama della letteratura ungherese. Qualcosa che fa capire come Magda Szabó abbia potuto innescare la passione totale che racconta nella Porta: è il romanzo uscito in Ungheria nel 1987 e considerato in patria il suo capolavoro, ora tradotto in italiano per Einaudi (versione di Bruno Ventavoli, pagg. 248 euro 17). La porta racconta la passione materna assoluta, senza limiti, ma non cieca, anzi supremamente vigile, che una donna di servizio, Emerenc, nutrì per molti anni per questa sua padrona. E, di converso, il sentimento con cui lei, Magda Szabó, la ricambiò e il «tradimento» con cui, però, la ripagò alla fine. L'argomento è spiazzante? Non che il soggetto del rapporto servo-padrone non abbia una sua tradizione narrativa: le commedie di Plauto e di Goldoni, Felicité di Flaubert, Le serve di Genet, o il romanzo di Robin Maugham da cui Losey e Pinter trassero un magnifico film. Ma qui, seppure la tematica nei suoi risvolti classici innervi il romanzo - chi è davvero il servo e chi il padrone, e sono poi due esseri distinti o solo un Giano bifronte? - il cibo vero allestito in tavola dall'autrice è, appunto, il dramma di una imprevedibile passione materna e filiale. D'altronde tutto appare verosimile in queste stanze della romana Accademia d'Ungheria dove ci incontriamo: si aggirano degli addetti che sembrano usciti da una saga di Peter Esterhazy, uomini altissimi e grassi con lunghe zazzere, uno sorride, l'altro s'addormenta, d'emblée, su una poltrona. Magda Szabó, nata nel 1917 da un padre protestante e una madre cattolica nella città, Debrecen, che ospita la comunità calvinista più folta d'Ungheria, di famiglia altoborghese, laureata in lettere classiche, sposata a un collega, si affaccia, con successo immediato di critica, alla platea ungherese dopo la guerra, per ritrarsi poi dal ‘48 per difficoltà politiche per un decennio. Poi arriva il ‘56. E poi gli anni della relativa liberalizzazione. Le porte le si riaprono: in vent'anni viene insignita dei due maggiori riconoscimenti nazionali, nel ‘59 del premio Attila Jozsef e nel ‘78 del Lajos Kossuth. Scrive una sequela di romanzi, ma anche libri per ragazzi e sceneggiature. Negli Usa le assegnano il premio Betz Corporation, in Francia il Fémina. Da noi segue il destino di tutti gli ungheresi che, dopo l'inondazione di romanzi degli anni Trenta e Quaranta, per potersi riaffacciare devono aspettare che il Nobel premi Imre Kertesz e che Adelphi crei il caso Marai. Prima della Porta, infatti, un solo titolo di Magda Szabó era apparso nelle nostre librerie, ma senza seguito, a metà anni Sessanta L'altra Ester pubblicato da Feltrinelli. Ora, arrivano col romanzo due storie destinate agli adolescenti, Abigail e La fata Lala (le pubblica L'Anfora). Dunque, La porta ci regala un personaggio enorme: Emerenc, la donna che ha vissuto ogni tragedia, come Madre Coraggio s'è vista morire sotto gli occhi, carbonizzati da un fulmine, i due fratellini gemelli e, subito dopo, ha visto sua madre suicidarsi buttandosi in un pozzo, ha amato un uomo che è dovuto andare in esilio, ha provato a scacciare il chiodo con un altro uomo che le ha rubato tutti i soldi, ha trovato l'unico amore che le rimaneva, un gatto, strangolato col fil di ferro da un vicino. Ed Emerenc con tutto questo è cresciuta fino a diventare una donna dalla forza mitologica: durante la guerra ha salvato chiunque le capitasse, ebrei e partigiani, russi ma anche Ss, ora spazza la neve per tutti nella piazzetta di Pest dove fa la portinaia, cucina per chi si ammala e, quando entra nella vita dei suoi nuovi padroni, Magda e il marito, la prende in mano e diventa la vera sovrana della lora casa. Più che sovrana: una divinità silente e benigna. Che ha un rapporto da pari a pari, telepatico, col cane di quella casa, Viola. Che, solo quando vuole, racconta a stralci qualche fatto della sua incredibile vita. Più spesso apre bocca per riversare contumelie su qualunque autorità, dai politici alla Chiesa. O appassionate arringhe su quella padrona che fa un lavoro - scrivere - che non le appare tale, e che strapazza, in nome di un suo codice morale, eccentrico in apparenza, ma d'una logica adamantina. Emerenc che la sera si rinserra nella sua casa di portinaia che non apre a nessuno e i cui segreti (la sua famiglia di animali, un misterioso tesoro in mobili legato alla Shoah) mostrerà una volta solo a quella scrittrice che ama. Davvero dobbiamo credere che sia esistito un destino tragico come quello di Emerenc e che un essere umano gli sia sopravvissuto? «Sì, ogni fatto che racconto è davvero accaduto. Ho dovuto solo scegliere, tra i tanti, quali narrare. E ho dovuto inventare una struttura che reggesse il romanzo» spiega Magda Szabo. «La difficoltà più grave era nel fatto che la vita di Emerenc era, di per sé, una tragedia greca. Magari quelli che racconto fossero frutti d'invenzione! Proprio per questo, credo, Emerenc era diventata una donna che amava poche persone, ma che, per chi amava, poteva anche morire. Da quando è uscito il libro molti mi chiedono dove sia la sua tomba, per visitarla. Io rispondo che quando morirò porterò Emerenc con me e mio marito, nella nostra cripta. Perché è stato come se io fossi dilaniata tra due bisogni d'amore, quello di mio marito e il suo. Il dramma è che le nostre vite erano asimmetriche, io avevo uno sposo e la carriera, lei solo me». In un certo senso, questo oltreché il romanzo di una passione è anche un romanzo di idee: Emerenc sa cosa pensare su tutto, dal lavoro alla politica ai preti. «Odiava gli intellettuali. Non capiva cosa io amassi in mio marito e viceversa. Diceva che gli unici lavori veri sono quelli manuali. Se io cercavo un'idea fissando il cielo oltre la finestra mi diceva "ma cosa fa? perde tempo?". Era intelligentissima e conosceva una quantità sorprendente di parole ricercate che aveva imparato dai molti per cui aveva lavorato. Però aveva fatto solo la terza elementare e, quando arrivò il comunismo, rifiutò ciò che le offrivano, cioè di emanciparsi, studiando, dalla sua condizione. Il retroscena era l'amore per quell'uomo che aveva salvato in tempo di guerra, era un dissidente noto, un intellettuale dello stesso gruppo di Imre Nagy. Quando tornò dall'esilio lei sperò che la sposasse, invece lui arrivò con una moglie. Così, quando lui morì, ai suoi funerali c'erano tutti, tranne lei, perché non poteva sopportare quella vergogna». E la vergogna, sentimento delle creature meno artefatte e più sincere, ha un ruolo chiave, poi, nella fine drammatica di questa donna. Signora Szabó, la sua Emerenc ha in spregio qualunque autorità, ubbidisce solo a se stessa. Questo ci deve dire qualcosa, in modo traslato, sul suo personale rapporto col comunismo? «Certo non è stato facile vivere in Ungheria in quegli anni essendo figlia di un altissimo funzionario del governo precedente, da aristocratica in un mondo socialista. Ma io volevo scrivere, qui, solo di una signora anziana alla quale volevo bene. Una donna che mi ha fatto capire che sbagliavo a credere che i miti fossero finiti con il Cristianesimo, perché era, lei, una figura quasi mitologica. Lascio che sia lei a parlare. E sì, lei non sa cosa fosse in grado di dire, Emerenc, sul comunismo. Ma c'è una domanda che lei non mi ha ancora fatto». Quale? «Perché ho deciso di scrivere questo libro. Quand'è uscito in molti mi chiedevano "ma perché l'hai fatto? Ora che hai recuperato un buon rapporto col tuo paese ti metti in piazza, sveli le tue mancanze?" L'ho fatto per espiare. Come racconto, mentre Emerenc era malata e mentre si avviava alla morte io ero in televisione a farmi bella, ero in Parlamento a farmi festeggiare, ad Atene al congresso di scrittori. Anche se ero fuori di me, mi addormentavo invece di parlare, non mangiavo. Questo libro è una confessione pubblica per il peccato che ho commesso».


14 April 2005 pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 23) dell' Unità nella sezione "Cultura

1 commento:

  1. Il mio ragazzo mi ha lasciato un mese fa e se ne stava andando con un'altra donna, che è di 10 anni più di lui, mi sento come la mia vita è completamente sopra. Ho letto su internet come un mago hanno aiutano a più persone di arrivare amore indietro. Sono stato afflitto per il passato un mese e quello che ho bisogno è di farlo tornare a vivere con me così ho deciso di fare un tentativo così ho contattato il caster incantesimo chiamato DR. LUKAS LELE, DRLELESPELLTEMPLE@OUTLOOK.COM o lo WhatsApp +2348151729226 e spiegare i miei problemi a lui e ha gettato un incantesimo per me, che io uso per ottenere il mio fidanzato indietro e ora la mia vita è completa e io sono accuratamente grati a quest'uomo, il suo e-mail di contatto DRLELESPELLTEMPLE@OUTLOOK.COM o lui WhatsApp +2348151729226

    RispondiElimina