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2022-11-07 Giobbe di Joseph Roth

·       E’ a metà tra una fiaba e una parabola. Inizia con il racconto della famiglia di Mendel che vive in un clima di serenità che, però, dopo poco si fa sempre più cupo. Le difficoltà della vita si abbattono su tutti i componenti, tranne su Menuchim che, nato come il più sfortunato, è quello che si riscatterà su tutti. E anche Mendel, l’uomo semplice, finirà serenamente i suoi giorni. Vince chi è buono, chi non pretende niente dalla vita ma si afferma per le sue qualità e per i valori in cui crede profondamente

·       Tanti stili diversi, realismo nelle descrizioni piene di dettagli, sembra di essere dentro un quadro, miracolo nel finale. I temi sono la normalità, la colpa, la disperazione continua della vita, il sesso, i miracoli

·       Dio non ama i devoti, ma quando Mendel lo ripudia i suoi problemi si risolvono

·       Quando capitano le disgrazie Mendel perde la fede tanto da voler bruciare i testi sacri. Il Giobbe biblico, invece, accetta le disgrazie, si umilia e chiede a Dio perché sono successe e questo gli permette di essere riabilitato. La domanda che si pone l’autore in questo romanzo è: perché esiste la sofferenza sulla terra? Ma non c’è una risposta

·       In poche pagine vengono condensati temi tragici, ma con tono lieve. Mendel vive all’inizio in un clima sereno, ma la nascita di Menuchim sconvolge tutto. E’ forte l’amore della madre per l’ultimo genito e si evince il dolore per averlo lasciato a casa. Mendel fatica ad adattarsi all’ambiente americano e le tante morti lo stravolgono al punto che abbandona la fede, salvo poi rappacificarsi quando incontra Menuchim. La moglie mi ha affascinata e la figlia fugge dai riti religiosi

·       Insiste nel descrivere i riti religiosi ebraici e ci sono aspetti tipici della fiaba. In particolare quando, alla fine, vede per la prima volta un’America scintillante e sente il “peso della felicità, la sofferenza della vita

·       Mendel ha una sorte comune al Giobbe biblico: Satana provoca per vedere fino a quanto dura la fede in Dio. Anche Roth è in cerca di una purificazione per la sua vita deteriorata dall’alcol

·       La musica è una costante: Mendel la insegna ai bambini, Menuchim diventa musicista, i suoni in America, quelli tintinnanti del bicchiere, dei carri e degli uccelli

·       E’ una fiaba molto dura, piena di disgrazie. E’ affascinante la lotta appassionata di Mendel con Dio che punisce più che amare. La descrizione di quando perde la fede è passionale come quando lascia la moglie. Marito e moglie sono molto diversi: lui investe nella preghiera, lei spera nei miracoli. Lei agisce per i figli e anche se non condivide il comportamento della figlia cerca di comprenderla tanto da mettere in discussione se stessa. E’ tenera con l’ultimo figlio che invece dà infelicità a tutti e lui ricorderà questo amore quando crescerà. La fede giusta è quella nella seconda parte: non è la preghiera, ma la ricerca e la fatica personale che ci dà nuove energie

·       Questo libro ha aperto uno scenario sul mondo ebraico. Il male non ha una giustificazione. Mendel non lotta con Dio, ma accetta tutto finché non lo ripudia. E’ un romanzo di grande atmosfera, un catalogo di stereotipi sugli ebrei. Mendel vive nella tradizione, la sua forza è nel non integrarsi. C’è il silenzio di Dio e la solitudine dell’ebreo

·       Mi ha colpito il ritmo lento e musicale che, in realtà, accompagna una tragedia. E’ un romanzo che ha un valore universale. Nel viaggio in America marito e moglie mantengono le tradizioni, mentre i figli si integrano rompendo gli stereotipi dell’ “ebreitudine”. Diaspora della famiglia che, sotto il cappello della religione naufraga, con i figli che fuggono perché gli ebrei immigrati di seconda generazione spesso prendono le distanze dalla loro terra, e questo è un aspetto molto moderno e universale. C’è una visione maschilista delle donne. Il libro è ricco perché, in poche pagine, si struttura su più livelli, storico, culturale, sociale

·       Mi ha oppresso, volevo sfuggirlo. Non è una fiaba, ma una tragedia. La madre non è madre: si è data da fare per salvare i figli, ma non quando erano piccoli perché sempre presa da Menuchim.

·       Questa è letteratura yiddish che parla di gente chiusa nel loro villaggio senza contatti con altri. Mendel è più chiuso della media. Il Giobbe della Bibbia è spiazzante, ma anche in Mendel il rapporto con Dio e la sofferenza è solo degli uomini. Le disgrazie Mendel se le è un po’cercate: rifiuta le medicine al figlio, proibisce alla figlia i suoi rapporti…

·       L’atmosfera mi ha rapito. E’ una fiaba (La  piccola fiammiferaia, Il canto di natale..) con un realismo quasi caravaggesco nelle descrizioni, mai pesanti o noiose. La moglie ha una ostinazione tutta materna nel voler aiutare i figli. L’aspetto della parabola: che il dolore è conseguenza della colpa, ma anche che il dolore preserva dalla colpa.

·       Scrittura precisa, senza lungaggini. Molti gli spunti di riflessione: la fede, la famiglia, i vicini, la diaspora. C’è pathos. E’ un romanzo gentile e delicato. Il rapporto di Mendel con Dio è sempre venato dal senso di colpa. Lui non agisce mai fino a sprofondare nella solitudine e nella disperazione. Il dolore, alla fine, lo rende un uomo forte e quando ripudia la fede ha davvero un rapporto con Dio.

·       Prima di leggerlo ho ascoltato altre voci. Dalla biografia dell’autore emerge un mitomane e un mistificatore e nel libro c’è questa frase che può illuminare: “non conta la realtà, ma la verità profonda”. All’inizio in Mendel la fede è quasi cieca. E’ un romanzo sulla paternità. Il figlio piccolo viene abbandonato, ma per fortuna viene curato dalla scienza. Tutta la sofferenza è di Mendel che è l’unico che sopravvive e per questo sprofonda fino a quando arriva il miracolo.

 

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