JABBOUR DOUAIHY San Giorgio guardava altrove FELTRINELLI
’12 (2010 arabo - Libano)
Il San Giorgio del titolo
è figura amata sia dai musulmani che dai cristiani. E’ patrono di Beirut. Il
‘guardava altrove’ sta forse a indicare come il santo sia stato distratto
durante la feroce guerra civile in Libano: non ha voluto guardare? non ha
voluto prendervi parte? non ha condiviso?
Ma il titolo originale
era: Il libanese perso/errante fra le
case. A sottolineare il punto di vista dal quale gli eventi vengono raccontati:
quello di Nizam.
E’ attraverso la storia individuale
di Nizam che lo scrittore ripercorre dagli anni ’60 la geografia e la storia
del Libano fino allo scoppio della terza guerra civile nel ’75 (che durerà fino
al 1990). Tripoli, Haoura e soprattutto Beirut i luoghi attraversati.
La crescita di Nizam si dipana,
lentamente, nella prima parte del romanzo. Vede un protagonista che si
avvantaggia dei benefici che gli offre la famiglia cristiano maronita di
adozione che con disinteressato amore lo accoglie e lo cresce ad Haoura, tra i
monti, nel nord del Libano. Dedito al
divertimento, generoso con gli amici dei soldi e gli agi che i genitori
adottivi, Tuma e Rakhima, gli passano senza riserve. Privo di ideali e senza
veri desideri o interessi sembra mosso dal caso.
Va a Beirut per
iscriversi all’università (di cui forse frequenterà una lezione), ma finirà,
spensierato, giocando al rivoluzionario marxista, in un gruppo di giovani
intellettuali marxisti (un po’ come contemporaneamente gli studenti in USA e
Europa) composito e polifonico per provenienza, religioni e lingue. Ma questi leggono,
studiano, discutono appassionati. Nizam, li accoglie e rifocilla in casa sua, si addormenta
agli incontri, non legge un libro. La sua esigenza, a differenza degli
altri, è non rimanere solo, avere gente attorno a lui. Con la stessa
indifferenza si farà scegliere da Yusra, che nel gruppo lo introduce, e da lei
abbandonare. Senza apparenti passioni o sofferenze, attraversa gli eventi
surfando.
(I distacchi sembra che
li patiscano solo le donne: la madre Sabah, la sorella Mayaslun, Yusra, Janan,
Rakhima…)
Tenera e dolente la
figura di Sabah la madre naturale, emozionata nel rivederlo ormai adulto, ma
incapace di dimostrarglielo anche solo con un gesto, frenata forse dalla colpa
per averlo lasciato da crescere e seguire alla coppia maronita anche se per
necessità: il marito in carcere, due gemelli piccoli e una figlia da sfamare e
crescere con la dignità di un contesto piccolo-borghese.
Altra figura femminile interessante
è Olga, russa bianca, che lascia Beirut inseguendo un amore strampalato, e
lascerà al protagonista la casa dalla quale San Giorgio guarda il mare, forse
per proteggere chi se ne va, come lei spera. Lo stupro di Olga al rientro a
Beirut, già in una atmosfera di crescenti violenti scontri religiosi, fa ricordare le parole di Cassandra di C. Wolf: quando ci si richiama a problemi di sicurezza
e gli uomini si mobilitano e armano, per le donne iniziano i guai: non hanno
più spazi pubblici o privati in cui sentirsi sicure, piegate dalla violenza
bruta che come un morbo prende il sopravvento e strozza ogni senso di civiltà di
dignità o di umanità.
Tutte le donne che Nizam
incontra per nascita, conoscenza, incontri lo adorano più o meno
silenziosamente e durevolmente. E’ affettuoso con tutte, ma non sa tenersene
nessuna. Unica passione: la ritrosa, singolare pittrice Janan che ama la
solitudine e il silenzio ma i cui occhi, di colore diverso, sembrano
simbolizzare la stessa duplicità o ambiguità che segna Nizam, che non sente di
appartenere ad alcuna identità, tantomeno religiosa: nel corso della vita è
chiamato con diversi nomi pur rimanendo se stesso, ed è segnato da due
appartenenze religiose pur non credendo in alcuna. Sembra anche essere l’unica
la cui sensibilità di artista percepisce il precipitare degli eventi e della
convivenza in città: traspare nei suoi ossessivi quadri in grigi prevalenti e strisciate
rosso-sangue sempre più invasive. Anticipa cromaticamente la morsa grigia e il
fiume di sangue che stringerà Beirut d’assedio per 15 anni. Sullo sfondo i
campi profughi palestinesi aggiungono sensazione di instabilità alla situazioni
e il senso di precarietà e insicurezza è sottolineato dal rombo delle
incursioni aeree israeliane. Ma nessuno sembra rendersi conto dell’incombere della
guerra civile: il suo irrompere lo viviamo attraverso gli occhi ignari di Nizam.
Che in fondo andrà, con la stessa spavalda indifferenza con cui ha vissuto, verso
un finale spiazzante ma forse, finalmente, di presa di coscienza di chi è e dalla parte di chi
sta o non sta.
shara ponti
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