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domenica 26 marzo 2017



JABBOUR DOUAIHY San Giorgio guardava altrove FELTRINELLI ’12 (2010 arabo - Libano)

Il San Giorgio del titolo è figura amata sia dai musulmani che dai cristiani. E’ patrono di Beirut. Il ‘guardava altrove’ sta forse a indicare come il santo sia stato distratto durante la feroce guerra civile in Libano: non ha voluto guardare? non ha voluto prendervi parte? non ha condiviso?
Ma il titolo originale era: Il libanese perso/errante fra le case. A sottolineare il punto di vista dal quale gli eventi vengono raccontati: quello di Nizam.
E’ attraverso la storia individuale di Nizam che lo scrittore ripercorre dagli anni ’60 la geografia e la storia del Libano fino allo scoppio della terza guerra civile nel ’75 (che durerà fino al 1990). Tripoli, Haoura e soprattutto Beirut i luoghi attraversati.
La crescita di Nizam si dipana, lentamente, nella prima parte del romanzo. Vede un protagonista che si avvantaggia dei benefici che gli offre la famiglia cristiano maronita di adozione che con disinteressato amore lo accoglie e lo cresce ad Haoura, tra i monti, nel nord del Libano.  Dedito al divertimento, generoso con gli amici dei soldi e gli agi che i genitori adottivi, Tuma e Rakhima, gli passano senza riserve. Privo di ideali e senza veri desideri o interessi sembra mosso dal caso.
Va a Beirut per iscriversi all’università (di cui forse frequenterà una lezione), ma finirà, spensierato, giocando al rivoluzionario marxista, in un gruppo di giovani intellettuali marxisti (un po’ come contemporaneamente gli studenti in USA e Europa) composito e polifonico per provenienza, religioni e lingue. Ma questi leggono, studiano, discutono appassionati. Nizam, li accoglie e rifocilla in casa sua,  si addormenta  agli incontri, non legge un libro. La sua esigenza, a differenza degli altri, è non rimanere solo, avere gente attorno a lui. Con la stessa indifferenza si farà scegliere da Yusra, che nel gruppo lo introduce, e da lei abbandonare. Senza apparenti passioni o sofferenze, attraversa gli eventi surfando.
(I distacchi sembra che li patiscano solo le donne: la madre Sabah, la sorella Mayaslun, Yusra, Janan, Rakhima…)
Tenera e dolente la figura di Sabah la madre naturale, emozionata nel rivederlo ormai adulto, ma incapace di dimostrarglielo anche solo con un gesto, frenata forse dalla colpa per averlo lasciato da crescere e seguire alla coppia maronita anche se per necessità: il marito in carcere, due gemelli piccoli e una figlia da sfamare e crescere con la dignità di un contesto piccolo-borghese.
Altra figura femminile interessante è Olga, russa bianca, che lascia Beirut inseguendo un amore strampalato, e lascerà al protagonista la casa dalla quale San Giorgio guarda il mare, forse per proteggere chi se ne va, come lei spera. Lo stupro di Olga al rientro a Beirut, già in una atmosfera di crescenti violenti scontri religiosi,  fa ricordare le parole di Cassandra di C. Wolf: quando ci si richiama a problemi di sicurezza e gli uomini si mobilitano e armano, per le donne iniziano i guai: non hanno più spazi pubblici o privati in cui sentirsi sicure, piegate dalla violenza bruta che come un morbo prende il sopravvento e strozza ogni senso di civiltà di dignità o di umanità.
Tutte le donne che Nizam incontra per nascita, conoscenza, incontri lo adorano più o meno silenziosamente e durevolmente. E’ affettuoso con tutte, ma non sa tenersene nessuna. Unica passione: la ritrosa, singolare pittrice Janan che ama la solitudine e il silenzio ma i cui occhi, di colore diverso, sembrano simbolizzare la stessa duplicità o ambiguità che segna Nizam, che non sente di appartenere ad alcuna identità, tantomeno religiosa: nel corso della vita è chiamato con diversi nomi pur rimanendo se stesso, ed è segnato da due appartenenze religiose pur non credendo in alcuna. Sembra anche essere l’unica la cui sensibilità di artista percepisce il precipitare degli eventi e della convivenza in città: traspare nei suoi ossessivi quadri in grigi prevalenti e strisciate rosso-sangue sempre più invasive. Anticipa cromaticamente la morsa grigia e il fiume di sangue che stringerà Beirut d’assedio per 15 anni. Sullo sfondo i campi profughi palestinesi aggiungono sensazione di instabilità alla situazioni e il senso di precarietà e insicurezza è sottolineato dal rombo delle incursioni aeree israeliane. Ma nessuno sembra rendersi conto dell’incombere della guerra civile: il suo irrompere lo viviamo attraverso gli occhi ignari di Nizam. Che in fondo andrà, con la stessa spavalda indifferenza con cui ha vissuto, verso un finale spiazzante ma forse, finalmente, di presa  di coscienza di chi è e dalla parte di chi sta o non sta.


 shara ponti


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