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mercoledì 9 aprile 2014

Introduzione a Italo Svevo

a cura di Bruno Bechini


Nella compilazione della nota che segue, per le notizie biografiche la fonte più utilizzata è la lunga introduzione a La coscienza di Zeno, nell'edizione dall'Oglio del 1964, assolutamente affidabile grazie alle testimonianze incrociate di due amici di Svevo (Silvio Benco e Giulio Cesari, suoi colleghi presso il giornale irredentista triestino Indipendente). Oltre che da qui, diversi giudizi critici sulle sue opere sono ricavati dalla bella scheda dedicata a Svevo da Wikipedia.


           Ettore Schmitz, nome autentico di Svevo, nasce nel 1861 da una famiglia ebrea benestante di origine tedesca, ma da due generazioni residente in Italia, dove tanto il padre che il nonno avevano sposato donne italiane. Il padre, commerciante di successo intenzionato a far proseguire nella sua attività i figli, nel 1874 manda Italo con due suoi fratelli in un rinomato collegio bavarese a studiare il tedesco e altre materie utili all'attività commerciale. Svevo si forma così in un ambiente linguistico tedesco che lascerà le sue tracce nel suo stile letterario, non esente da forzature e solecismi spesso criticati oltre misura da esponenti del modo letterario italiano. Lui fu invece sempre orgoglioso della sua biculturalità, in omaggio alla quale assunse appunto lo pseudonimo Italo Svevo. Nel 1878 egli torna a Trieste, dove completa i suoi studi commerciali, anche se da tempo più che dalle operazioni della partita doppia è attratto dalla cultura letteraria, interesse che lo porta a leggere prima i classici tedeschi (ammirando in particolare Jean Paul) e poi quelli italiani (su tutti Boccaccio,  Machiavelli e Guicciardini).
           D'altra parte la prospettiva di una sua attività commerciale viene bruscamente cancellata nel 1880 dal fallimento dell'azienda paterna, che costringe Italo e i suoi fratelli ad abbandonare la loro condizione agiata e tranquilla per cercare un impiego qualunque. Svevo lo trova nell'ufficio di corrispondenza di una banca, dove rimane per  18 anni, lavorando senza nessuna gratificazione per 8 ore al giorno, con l'indispensabile aggiunta di attività accessorie, fra le quali fortunatamente prende a frequentare la redazione del succitato Indipendente, pubblicandovi recensioni, saggi teatrali e letterari e qualche racconto, tutti firmati con il primo dei suoi pseudonimi, Ettore Somigli. Dopo questo apprendistato, nel 1892 (anno della morte del padre) assume quello di Italo Svevo in occasione della pubblicazione del suo primo romanzo, Una vita, che viene però totalmente ignorato da pubblico e critica. Nello stesso anno ha una relazione con una popolana, che gli ispirerà poi l'Angiolina di Senilità, il suo secondo romanzo, uscito nel 1898 e caduto come il primo nel più completo silenzio. Nel frattempo ha perso anche la madre (nel 1895), intrapreso la collaborazione con il Piccolo, altro giornale triestino, e, abiurata la religione ebraica, si è sposato nel 1897 con una cugina, figlia di un facoltoso commerciante cattolico di vernici sottomarine. Deluso dall'insuccesso letterario, nel 1898 abbandona l'impiego in banca e entra nell'azienda del suocero, impegnandosi con ottimi risultati in un'attività che lo porta a frequenti viaggi e soggiorni all'estero, in particolare a Londra. E' per questo che, frequentando nel 1907 un corso d'inglese della Berlitz triestina ha modo di conoscere e di stringere amicizia con Joyce, al quale fa leggere i suoi due romanzi, ricevendone un sincero apprezzamento, che non fa però cambiare idea a Svevo. Egli è ormai completamente assorbito dal suo nuovo importante lavoro (anche se di tanto in tanto compone qualche pagina teatrale e delle favole), a tal punto da non riuscire neppure a suonare che eccezionalmente l'amato violino, che si porta comunque appresso nei suoi numerosi viaggi. Nel 1910 si accosta alla psicoanalisi e l'anno successivo Svevo conosce Wilhelm Stekel (un allievo del fondatore della nuova disciplina), che si occupa del rapporto fra inconscio e poesia; tale esperienza, arricchita in seguito dalla traduzione insieme con un suo nipote medico de La scienza dei sogni di Sigmund Freud, risulterà decisiva per il concepimento de La coscienza di Zeno, alla cui stesura Svevo si impegna a partire dal 1919.
           Durante il conflitto, continuando a vivere nella sua città natale, egli mantiene la cittadinanza austriaca, ma cerca di rimanere neutrale; dopo il definitivo passaggio di Trieste all'Italia,  prende invece la cittadinanza Italiana e si impegna nella collaborazione al giornale triestino La Nazione, fondato dall'amico Giulio Cesari. Solo nel 1923 pubblica La coscienza di Zeno, ancora una volta destinato al più completo insuccesso. Solo nel 1925 Joyce, che nel frattempo si è trasferito definitamente a Parigi, ricevutane una copia dall'amico, la fa conoscere ad alcuni critici italianisti che, apprezzandone lo straordinario valore, contribuiscono insieme con Montale (dopo un suo soggiorno parigino) a  far scoppiare anche in Italia il “caso Svevo”, che lo pone meritatamente al centro dell'ammirazione internazionale.
           Finalmente felice dei riconoscimenti generali, nei tre anni che gli rimangono da vivere, Svevo pubblica parecchie sue cose minori, rimaste fino allora inedite, ed altre vengono alla luce solo dopo il 1928, l'anno in cui Svevo perde la vita in un incidente automobilistico. Fra queste ultime figura anche l'unico frammento compiuto ed organico del nuovo romanzo, Il vecchione.
           Durante tutta la sua esistenza Svevo fu un lettore onnivoro ma disordinato e (a parte i suoi interessi squisitamente letterari, fra i quali spiccano i francesi Renan, Balzac, Flaubert e Zola - da lui considerato il maggiore scrittore contemporaneo -, gli italiani Carducci e De Sanctis, Turgeniev e Dostoevskij, Shakespeare, Joyce e tantissimi altri) nella sua cultura confluirono perciò filoni  filosofici e scientifici contraddittori e difficilmente conciliabili: da un lato il Positivismo, la lezione di Darwin, il Marxismo e dall'altro il  pensiero negativo ed antipositivista di Schopenhauer, di Nietzsche e di Freud. Ma tutti questi spunti sono assimilati da Svevo in modo originalmente coerente, assumendo da questi diversi pensatori gli elementi critici e gli strumenti analitici piuttosto che l'ideologia complessiva. Esemplare il caso di Freud, che Svevo considera un maestro nell'analisi della costitutiva ambiguità dell'io e nella demistificazione delle razionalizzazioni ideologiche con cui l'individuo giustifica la sua ricerca inconscia del piacere. Pertanto accetta la psicoanalisi come tecnica di conoscenza,  ma la respinge come terapia medica e come visione totalizzante della vita.
            Allo stesso modo, sul piano della creazione letteraria, dalla letteratura realista e naturalista ricava la critica degli atteggiamenti romantici dei protagonisti dei primi suoi due romanzi, così come l'impostazione tradizionalista della loro struttura narrativa. Ma nel primo, Una vita (originariamente intitolato Un inetto) racconta sì la triste vicenda di un vinto, figura tipica della storia tardoverista, ma con uno scarto fondamentale: il protagonista, Alfonso Nitti, è un “inetto”, cioè un uomo sconfitto, non da cause esterne, ma interiori, vale a dire da un'incapacità generica e da una precisa volontà di rifiutare le leggi sociali e la logica della lotta per la vita.
           Parimenti nel secondo romanzo, Senilità, il titolo ha un significato non letterale ma metaforico, in quanto indica l'incapacità di agire tipica degli anziani, ma che qui risulta attribuita al   protagonista Emilio Brentani, ancora relativamente giovane (35 anni), che di fatto è incapace di vivere pienamente la sua vita e di recepire gli stimoli e i suggerimenti vitalistici dell'amico scultore (ispirato ad un personaggio reale, il pittore Umberto Verdula, stretto amico dell'Autore e suo ammiratore e consolatore dopo i primi insuccessi letterari).
           Ma tra il 1898 di Senilità e il 1923 de La coscienza di Zeno non intercorrono solo 25 anni, quanto piuttosto il rovesciamento di un mondo, a causa della catastrofe della prima guerra mondiale e dell'affermazione di nuove concezioni filosofiche, nonché dell'avvento delle avanguardie. E Svevo ne è ben consapevole nel tratteggiare il suo protagonista e le sue convinzioni. A Zeno la vicenda umana  appare tragica e insieme comica e per lui la vita è una lotta grottesca in cui l'inettitudine non è più un destino individuale, come sembrava ad Alfonso Nitti e ad Emilio Brentani, ma un fatto universale, non essendo la nostra coscienza altro che un gioco comico e assurdo di autoinganni più o meno consapevoli. In forza di tali assunti, Zeno acquista quella saggezza necessaria a vedere la vita come una brillante commedia e a comprendere che l'unico mezzo per non lasciarsi sopraffare da disturbi e malanni fisici, per lo più immaginari, è di persuadersi di essere sani. Se questi ne sono i contenuti modernissimi, bisogna aggiungere che la forma-romanzo nel senso tradizionale non c'è più. In una sorta di diario concepito come una confessione psicoanalitica, la narrazione si svolge in prima persona e non presenta una gerarchia nei fatti narrati e nella loro cronologia: le epoche e i piani si dislocano e si sovrappongono, producendo la frantumazione dell'identità del personaggio narrante. Il protagonista infatti non è più una figura modellata su un individuo in carne e ossa, ma è piuttosto una coscienza che si costruisce attraverso il ricordo. Ovvero di Zeno esiste solo ciò che egli intende ricostruire attraverso la sua coscienza. La coscienza di Zeno, appunto. E mai titolo di romanzo fu più appropriato al progetto letterario e alla sua realizzazione da parte dell'Autore.
           Svevo è davvero vicinissimo in questa sua opera, sia pure in un modo del tutto originale, a Pirandello, Joyce e Proust.

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