a cura di
Bruno Bechini
L'Autore
nasce nel 1915 a
Lacine, attuale sobborgo di Montreal, dove il padre e la madre si erano
trasferiti da San Pietroburgo due anni prima con gli altri tre figli. Solo nel
1923 la famiglia passerà al completo la frontiera degli USA in modo illegale
per stabilirsi a Chicago. Il padre, originariamente occupato nel commercio
ambulante di tessuti, per provvedere alla sua numerosa famiglia fa un po' di
tutto (contrabbanda liquori, lavora prima
in una panetteria poi nel settore della distribuzione del carbone) ma
sempre con scarsa fortuna, facendo rientrare a pieno titolo la sua famiglia
nella minoranza ebraica in precarie condizioni economiche che, ancora
profondamente legata alla propria cultura e alle proprie tradizioni, vive in
una condizione di assoluta marginalità rispetto alla maggioranza dominante
anglosassone. Né più né meno delle altre etnie (polacchi, scandinavi, ucraini,
italiani irlandesi, messicani) che dalla fine dell'Ottocento stanno
trasformando la società americana in un miscuglio multiculturale e
multirazziale, lo spettacolo del quale
porterà Bellow ad intraprendere studi di indirizzo antropologico e
sociologico all'Università: “Io stesso – dirà – mi sentivo una sorta di selvaggio
che viveva, se non fra selvaggi, almeno a contatto con le culture contadine” di
mezzo mondo.
La
sua esperienza universitaria, animata come in tanti suoi simili, dalla volontà
di uscire dal ghetto e dalla povertà mediante la cultura, è segnata da difficoltà
economiche, dalla precoce morte della madre nel 1933 e dall'allontanamento
dalle calde tradizioni di provenienza. Dopo la laurea nel '39 decide di
abbandonare l'Università per dedicarsi completamente la scrittura.
Ha
già sposato l'anno precedente la prima delle sue cinque mogli, da quattro delle
quali avrà i suoi quattro figli, l'ultimo a 84 anni: anche in tal modo esprime
una vitalità straordinaria che pervade tutta la sua esistenza, estremamente
movimentata fra viaggi, studi, vari incarichi universitari e creazioni
letterarie. Essendo impossibile per ragioni di spazio seguirla
dettagliatamente, la scorreremo a volo d'uccello.
Gli
anni Quaranta sono caratterizzati per Bellow dalla scoperta di New York e dei
suoi ambienti intellettuali aperti alla cultura europea. Nel 1941 pubblica il
suo primo racconto sulla “Partisan Review”, rivista progressista in cui si
raccolgono alcuni dei più promettenti talenti americani del tempo. Ne seguono
anche altri, in cui appare evidente il suo interesse particolare per Joyce e
D.H. Lawrence, fra i protagonisti del modernismo letterario.
Nel
1944 pubblica il suo primo romanzo L'uomo in bilico, storia quasi
autobiografica di un uomo che attende la chiamata alle armi che non arriva
(Bellow stesso negli ultimi mesi della guerra si prestò come volontario nella
marina mercantile). Il romanzo viene
accolto favorevolmente dalla critica e in particolare da Edmund Wilson, allora
forse il più influente fra gli intellettuali newyorkesi.
A
guerra conclusa insegna all'Università e nel 1947, dopo un viaggio in Francia e
Spagna pubblica il suo secondo romanzo, La vittima, che gli permette di
vincere una borsa di studio con cui vive due anni a Parigi, dove dedica la
maggior parte del suo tempo alla scrittura, ma ha anche modo di conoscere le
più eminenti personalità della cultura francese. Nel 1950 visita l'Italia, nel
1955 perde il padre e pubblica il suo terzo romanzo, Le avventure di Augie
March. Grazie ad un'altra borsa di studio, nel 1959 pubblica Il re della
pioggia.
Forte
di queste credenziali, negli anni Sessanta Bellow è ormai un intellettuale
affermato e riconosciuto come uno dei
più attenti critici della cultura e della società americana, a cui sa guardare
con partecipazione emotiva, ma anche con il distacco nutrito dalla sua alta
coscienza morale, che gli permette di sottrarsi alle mode imperanti sia del
consumismo sia della rivolta giovanile. Ma chiudersi pessimisticamente in se
stessi o entrare e disperdersi nel mondo in preda ad un pericoloso ottimismo
sono i due estremi fra cui, riflettendo il pensiero dell'Autore, i suoi
personaggi sanno che è indispensabile cercare il giusto punto di equilibrio. E
così, con il passare degli anni, essi passano dal monologo della esasperata
riflessione su se stessi delle prime opere ad un tentativo di dialogo con il
mondo esterno delle opere successive. E tale dialogo può a volte risultare
impossibile, come nel caso delle lettere che il protagonista di Herzog (1964),
studioso e scrittore fallito, scrive affannosamente al mondo, agli amici e ai
potenti sui grandi temi della società e
della storia, senza però mai spedirle. Oppure può risultare incredibilmente
difficile, come quello di Mr. Sammler (Il pianeta di Mr Sammler, 1970)
con il suo passato di sopravvissuto alla Shoah, che osserva la violenza di
Manhattan e della sua gente, che nel suo isolamento gli appare quasi sull'orlo
di un baratro, ma verso la quale alla fine sembra in qualche modo riuscire ad
aprirsi e a ritornare. Oppure, ancora, il dialogo può andare perfino oltre la morte, come quello che il
protagonista del Dono di Humboldt (1975) cerca di intrattenere con con
l'amico morto che gli ha lasciato un 'inaspettata eredità perché scriva.
Al
centro delle trame dei suoi romanzi, si ripropone in una coerente continuità il
dramma dello scontro fra mondo delle idee, del dovere e voler essere con la
forza delle emozioni. Scontro in cui l'uomo moderno deve verificare ad ogni
costo quale libertà sia possibile tra l'orrore di una storia recente,
costellata di brutture e violenze inaudite, e una società dei consumi che
sembra concepita apposta per dissimulare questo orrore.
Alla
fine di questo percorso, nel 1976,
l 'Autore di tante opere di successo viene insignito del
premio Nobel (e due anni dopo, fra l'altro, a ricevere il premio è Isac
Bashevis Singer, altro scrittore ebreo di cui nel 1952 Bellow aveva tradotto in
inglese dall'Yddish il romanzo Gimpel l'idiota). Al di là della
rilevanza internazionale del riconoscimento
della sua statura di scrittore, Bellow viene anche premiato per il suo
ruolo di testimone ed artefice del superamento della marginalità della cultura
ebraica e della sua apertura alla cultura dominante, non meno che del
contributo determinante che questo confronto di culture ha dato all'America
contemporanea e non solo ad essa. Egli si sente infatti ebreo ma al contempo
americano a pieno titolo e lo afferma con lo stesso orgoglio che abbiamo visto
manifestare al riguardo Bernard Malamud.
Seguiranno
diverse altre opere, fra cui non è possibile non citare Il dicembre del
professor Corde (1982), La sparizione (1989), Il circolo
Bellarosa (1989) fino a Ravelstein (2000), ma altrettanto importante
è il suo impegno nell'insegnamento universitario, che manterrà fino alla morte
(2005). Perché nell'Università Bellow trova il proprio habitat lavorativo, e
non come insegnante di creative writing (scelta fatta da altri suoi
colleghi, fra i quali Malamud, ad esempio), ma continuando ad approfondire la
prospettiva sociologica e antropologica, da cui aveva preso le mosse nei suoi studi, e sostenendo fino all'ultimo
la necessità di dare più spazio tanto ai
classici che agli autori e alle idee al centro della tradizione occidentale. In
cui, fra l'altro, “la presunta
superiorità culturale del vecchio continente è una fallace presunzione”, non si
perita significativamente di dichiarare nel 2002, in occasione di
un'intervista rilasciata a Repubblica, finalizzata a rifiutare la
demonizzazione del modello di sviluppo americano operata dai no global europei.
E nella stessa intervista non manca di
manifestare la preoccupazione che ovunque, perfino nella civilissima
Francia, gli ebrei continuino a restare oggetto di scherno, ostilità e abusi.
Ciò che conferma, anche in questa modesta testimonianza, che difesa
dell'Ebraismo e fedeltà alla civiltà americana animano congiuntamente fino alla
fine ogni sua presa di posizione.
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