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giovedì 5 dicembre 2013

Introduzione all' Autore: Saul Bellow


a cura di Bruno Bechini

            L'Autore nasce nel 1915 a Lacine, attuale sobborgo di Montreal, dove il padre e la madre si erano trasferiti da San Pietroburgo due anni prima con gli altri tre figli. Solo nel 1923 la famiglia passerà al completo la frontiera degli USA in modo illegale per stabilirsi a Chicago. Il padre, originariamente occupato nel commercio ambulante di tessuti, per provvedere alla sua numerosa famiglia fa un po' di tutto (contrabbanda liquori, lavora prima  in una panetteria poi nel settore della distribuzione del carbone) ma sempre con scarsa fortuna, facendo rientrare a pieno titolo la sua famiglia nella minoranza ebraica in precarie condizioni economiche che, ancora profondamente legata alla propria cultura e alle proprie tradizioni, vive in una condizione di assoluta marginalità rispetto alla maggioranza dominante anglosassone. Né più né meno delle altre etnie (polacchi, scandinavi, ucraini, italiani irlandesi, messicani) che dalla fine dell'Ottocento stanno trasformando la società americana in un miscuglio multiculturale e multirazziale, lo spettacolo del quale  porterà Bellow ad intraprendere studi di indirizzo antropologico e sociologico all'Università: “Io stesso – dirà – mi sentivo una sorta di selvaggio che viveva, se non fra selvaggi, almeno a contatto con le culture contadine” di mezzo mondo.
            La sua esperienza universitaria, animata come in tanti suoi simili, dalla volontà di uscire dal ghetto e dalla povertà mediante la cultura, è segnata da difficoltà economiche, dalla precoce morte della madre nel 1933 e dall'allontanamento dalle calde tradizioni di provenienza. Dopo la laurea nel '39 decide di abbandonare l'Università per dedicarsi completamente la scrittura.
            Ha già sposato l'anno precedente la prima delle sue cinque mogli, da quattro delle quali avrà i suoi quattro figli, l'ultimo a 84 anni: anche in tal modo esprime una vitalità straordinaria che pervade tutta la sua esistenza, estremamente movimentata fra viaggi, studi, vari incarichi universitari e creazioni letterarie. Essendo impossibile per ragioni di spazio seguirla dettagliatamente, la scorreremo a volo d'uccello.
            Gli anni Quaranta sono caratterizzati per Bellow dalla scoperta di New York e dei suoi ambienti intellettuali aperti alla cultura europea. Nel 1941 pubblica il suo primo racconto sulla “Partisan Review”, rivista progressista in cui si raccolgono alcuni dei più promettenti talenti americani del tempo. Ne seguono anche altri, in cui appare evidente il suo interesse particolare per Joyce e D.H. Lawrence, fra i protagonisti del modernismo letterario.
            Nel 1944 pubblica il suo primo romanzo L'uomo in bilico, storia quasi autobiografica di un uomo che attende la chiamata alle armi che non arriva (Bellow stesso negli ultimi mesi della guerra si prestò come volontario nella marina mercantile).  Il romanzo viene accolto favorevolmente dalla critica e in particolare da Edmund Wilson, allora forse il più influente fra gli intellettuali newyorkesi. 
            A guerra conclusa insegna all'Università e nel 1947, dopo un viaggio in Francia e Spagna pubblica il suo secondo romanzo, La vittima, che gli permette di vincere una borsa di studio con cui vive due anni a Parigi, dove dedica la maggior parte del suo tempo alla scrittura, ma ha anche modo di conoscere le più eminenti personalità della cultura francese. Nel 1950 visita l'Italia, nel 1955 perde il padre e pubblica il suo terzo romanzo, Le avventure di Augie March. Grazie ad un'altra borsa di studio, nel 1959 pubblica Il re della pioggia.
            Forte di queste credenziali, negli anni Sessanta Bellow è ormai un intellettuale affermato e  riconosciuto come uno dei più attenti critici della cultura e della società americana, a cui sa guardare con partecipazione emotiva, ma anche con il distacco nutrito dalla sua alta coscienza morale, che gli permette di sottrarsi alle mode imperanti sia del consumismo sia della rivolta giovanile. Ma chiudersi pessimisticamente in se stessi o entrare e disperdersi nel mondo in preda ad un pericoloso ottimismo sono i due estremi fra cui, riflettendo il pensiero dell'Autore, i suoi personaggi sanno che è indispensabile cercare il giusto punto di equilibrio. E così, con il passare degli anni, essi passano dal monologo della esasperata riflessione su se stessi delle prime opere ad un tentativo di dialogo con il mondo esterno delle opere successive. E tale dialogo può a volte risultare impossibile, come nel caso delle lettere che il protagonista di Herzog (1964), studioso e scrittore fallito, scrive affannosamente al mondo, agli amici e ai potenti sui grandi  temi della società e della storia, senza però mai spedirle. Oppure può risultare incredibilmente difficile, come quello di Mr. Sammler (Il pianeta di Mr Sammler, 1970) con il suo passato di sopravvissuto alla Shoah, che osserva la violenza di Manhattan e della sua gente, che nel suo isolamento gli appare quasi sull'orlo di un baratro, ma verso la quale alla fine sembra in qualche modo riuscire ad aprirsi e a ritornare. Oppure, ancora, il dialogo può andare perfino  oltre la morte, come quello che il protagonista del Dono di Humboldt (1975) cerca di intrattenere con con l'amico morto che gli ha lasciato un 'inaspettata eredità perché scriva.
            Al centro delle trame dei suoi romanzi, si ripropone in una coerente continuità il dramma dello scontro fra mondo delle idee, del dovere e voler essere con la forza delle emozioni. Scontro in cui l'uomo moderno deve verificare ad ogni costo quale libertà sia possibile tra l'orrore di una storia recente, costellata di brutture e violenze inaudite, e una società dei consumi che sembra concepita apposta per dissimulare questo orrore.
            Alla fine di questo percorso, nel 1976, l'Autore di tante opere di successo viene insignito del premio Nobel (e due anni dopo, fra l'altro, a ricevere il premio è Isac Bashevis Singer, altro scrittore ebreo di cui nel 1952 Bellow aveva tradotto in inglese dall'Yddish il romanzo Gimpel l'idiota). Al di là della rilevanza internazionale del riconoscimento   della sua statura di scrittore, Bellow viene anche premiato per il suo ruolo di testimone ed artefice del superamento della marginalità della cultura ebraica e della sua apertura alla cultura dominante, non meno che del contributo determinante che questo confronto di culture ha dato all'America contemporanea e non solo ad essa. Egli si sente infatti ebreo ma al contempo americano a pieno titolo e lo afferma con lo stesso orgoglio che abbiamo visto manifestare al riguardo Bernard Malamud.

            Seguiranno diverse altre opere, fra cui non è possibile non citare Il dicembre del professor Corde (1982), La sparizione (1989), Il circolo Bellarosa (1989) fino a Ravelstein (2000), ma altrettanto importante è il suo impegno nell'insegnamento universitario, che manterrà fino alla morte (2005). Perché nell'Università Bellow trova il proprio habitat lavorativo, e non come insegnante di creative writing (scelta fatta da altri suoi colleghi, fra i quali Malamud, ad esempio), ma continuando ad approfondire la prospettiva sociologica e antropologica, da cui aveva preso le mosse  nei suoi studi, e sostenendo fino all'ultimo la necessità di dare più spazio tanto  ai classici che agli autori e alle idee al centro della tradizione occidentale. In cui, fra l'altro,  “la presunta superiorità culturale del vecchio continente è una fallace presunzione”, non si perita significativamente di dichiarare nel 2002, in occasione di un'intervista rilasciata a Repubblica, finalizzata a rifiutare la demonizzazione del modello di sviluppo americano operata dai no global europei. E nella stessa intervista non manca di  manifestare la preoccupazione che ovunque, perfino nella civilissima Francia, gli ebrei continuino a restare oggetto di scherno, ostilità e abusi. Ciò che conferma, anche in questa modesta testimonianza, che difesa dell'Ebraismo e fedeltà alla civiltà americana animano congiuntamente fino alla fine  ogni sua presa di posizione.

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