Contributo di Bruno Bechini
Amitav Ghosh, considerato uno dei
maggiori scrittori indiani di lingua inglese, è nato a Calcutta nel 1956. Ha studiato ad
Oxford e vive fra la sua città natale e New York. Delle sue opere, oltre al
romanzo in questione, Neri Pozza ha pubblicato Lo schiavo del manoscritto
(2009), Mare di papaveri (2008), Il cromosoma Calcutta (2008), Il
palazzo degli specchi ((2007), Circostanze incendiarie (2006) e Il
paese delle maree (2005).
Della genesi del bellissimo romanzo
di formazione pubblicato nel 1988, preso in esame dal Circolo di lettura
Valvassori Peroni nel febbraio 2013, è lo stesso autore a parlare, rievocando
in Circostanze incendiarie (alle pp.219-237) i sanguinosi tumulti seguiti
a New Dehli all'uccisione di Indira Gandhi nel 1984: “Nell'arco di qualche mese
cominciai a scrivere il mio romanzo, che si sarebbe intitolato Le linee
d'ombra: un libro che mi riportava indietro nel tempo, a ricordi più
antichi, di disordini di cui ero stato testimone nell'infanzia. E' diventato un
libro non su uno specifico evento, bensì sul significato di simili eventi e
sulle conseguenze che hanno nella vita degli individui che li attraversano”.
In tutta la prima parte il
protagonista narrante (dal nome mai rivelato) esalta a piene mani il fascino
esercitato su di lui da Tridib, il cugino di nove anni più grande, figlio di un
funzionario del Foreign Office, che periodicamente ricompare nella modesta casa
e nella vita di zii e cugini, riempiendola delle sue storie fantastiche, dei
tesori della sua sterminata cultura e delle mirabolanti descrizioni di
un'Inghilterra leggendaria e lontana. Il giovane protagonista del romanzo
assorbe a tal punto l'arte di narrare di quel bizzarro cugino dalla fisionomia
inconfondibile e accattivante, da diventare capace lui stesso, crescendo, di
dare voce ai ricordi della sua infanzia, alle vicende della sua famiglia e a
quelle più grandi dell'India moderna. Senza una linea cronologica coerente, ne
nasce una narrazione in cui il paesaggio indiano o inglese, i luoghi reali o
immaginari diventano esemplari e simbolici, come i fantasmi femminili che
dominano la scena: l'amatissima nonna materna, la bellissima cugina Ila,
l'enigmatica amica inglese May. In tutta questa
saga i passaggi continui da un tempo e da un luogo all'altro vengono
dall'autore a tal punto deliberatamente dissimulati, da risultare perfino
d'intralcio a una piana lettura, ma ad un esame approfondito si rivelano un
profondo e devoto omaggio all'affascinante visione del mondo (e della
letteratura) espressa da Tridib:
“Tutti vivono dentro una storia,
dice, la nonna, mio padre, suo padre, Lenin, Einstein e un mucchio di altri
nomi che non ho mai sentito; tutti hanno vissuto dentro le storie, perché le
storie sono l'unico luogo in cui si può vivere, si tratta di sceglierne
una...”(p. 230). O, per voce dello stesso protagonista: “Erano tutti intorno a
me, finalmente riuniti, e non erano affatto fantasmi: l'essenza dei fantasmi
consiste semplicemente nell'assenza di tempo e di distanza, un fantasma altro
non è che una presenza rinnovata nel tempo” (p.229).
Ma su tutte le dolci, care figure di
questo universo, si staglia quella della mitica cugina Ila, amata da sempre di
un amore non corrisposto che il protagonista coltiva per un quarto di secolo,
fino alla cocente delusione con cui si conclude la prima parte, in cui una
delle accezioni del titolo, quella del richiamo al romanzo di Conrad, viene
esplicitata in modo inequivocabile:
“Poiché non fece ritorno nello
scantinato quella notte , seppi che una parte della mia vita di essere umano
era finita, che non esistevo più se non come cronaca” (p. 145).
L'altra accezione del titolo “Le
linee d'ombra”, con il passaggio al
plurale da quello singolare conradiano, si riferisce invece ai confini dello
spazio e del tempo, le linee immaginarie e violente che gli uomini inventano
per mettere ordine nella vita e nei loro contrasti, ma che, come tali, sono
inevitabilmente destinate a spostarsi e a ricomporsi di continuo in nuove costellazioni. E' la materia, tutta
politica, in primo piano nella seconda
parte del romanzo, che si svolge fra Calcutta e Dacca, scenari dei tumulti
razziali del 1964, a
cui nella prima città assiste spaventato il protagonista dodicenne e nell'altra
non solo assiste, ma viene drammaticamente coinvolto Robi, il suo cugino coetaneo fratello di Tridib.
Due episodi paralleli e quasi simultanei narrati con grande efficacia, ma che
si arrestano, come sulla soglia di un
precipizio, senza la rivelazione del finale del più grave dei due, ambientato a
Dacca: la terribile morte di Tridib. Morte della cui tragica sequenza, fino ad
allora completamente ignorata, il protagonista (e il lettore con lui) verrà a
conoscenza soltanto quindici anni dopo a
Londra, ascoltando a poca distanza di tempo la testimonianza dell'inconsolabile
Robi, prima, e quella tormentata dell'amica inglese May, in un secondo tempo,
ormai alle ultime pagine del romanzo. Una scelta narrativa geniale che va ad
impreziosire ulteriormente la particolarissima struttura di un libro
imperdibile; che si distingue anche per l'eleganza della scrittura, la
magistrale rappresentazione dei personaggi, l'eternità e al contempo
la grande attualità di temi come la famiglia, la storia e le sue
violenze, il razzismo, affrontati tutti dall'autore con commossa
partecipazione.
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