2024-12-02 Dove si nasconde il lupo di Ayelet Gundar-Goshen
Dove si nasconde il lupo?
In tutti noi. Mi sono immedesimata nella protagonista, una figura forte che
protegge la sua famiglia. Il figlio è un emarginato, bullizzato. Uri si
intromette nella loro vita come un pifferaio magico. E’ solo lui il lupo?
Emerge l’atteggiamento
degli israeliani che vivono la realtà sempre in tensione, sulla difensiva, con
la sindrome della vittima. La madre è un po’ ossessionante e soffocante. Il
lupo rappresenta la paura di chi ti sta accanto. La verità è sempre sfuggente.
L’epilogo è spiazzante.
La storia si basa sulla paura di questa famiglia israeliana che vive in
America per non far crescere il figlio in un ambiente difficile e pericoloso.
Ma si accorge che anche lì si annida il pericolo. Il figlio è problematico e
chiuso in se stesso. Uri è un fanatico, ma piace al padre perché aiuta il figlio
a uscire dall’isolamento e infatti il ragazzo lo idolatra. E forse è il
responsabile delle scritte razziste, dell’uccisione del cane e delle difficoltà
di Adam. Il suo scopo, infatti, era quello di entrare nel suo Pc e vendere i
segreti dell’azienda.
Mi piacciono molto i romanzi con una forte
componente psicologica. Non per niente l’autrice è anche psicologa. Questo è
anche un thriller e quindi cattura fin dalle prime pagine l’attenzione. Il tema
centrale, e cioè la paura dell’altro e di quello che non conosciamo degli
altri, è più che mai attuale. Il personaggio di Lilach ha anche degli aspetti
di ambiguità perché le sue sensazioni e ciò che deduce dagli avvenimenti non
capisci fino in fondo se nascano nelle sua mente o siano reali. Anche il finale
è ambiguo. Ti chiedi se suo figlio sia realmente colpevole oppure è solo ciò
che la madre teme.
Ben tradotto e dalla vicenda incalzante. La madre, a
differenza del marito, è impaurita.
Giustifico la sua preoccupazione per il figlio forse perché è trapiantata, ma,
rispetto agli altri, non ha nostalgia della sua terra. Ho colto frasi ironiche,
poetiche e molto efficaci.
E’ una scrittrice che non conoscevo. La scrittura è
moderna, efficace e profonda. Il lupo è dentro ognuno di noi. La paura acceca
tanto da non far percepire in Uri il cattivo, il manipolatore, come fosse un
agente segreto. Perché la famiglia non si è mai chiesta che cosa Uri vuole da
loro? Il padre è assente. I temi sono contemporanei: la paura degli attentati e
degli immigrati.
Paura e diversità. Vengono fuori i conflitti
presenti sia in Israele che negli Usa.
Thriller psicologico. Il tema è la paura, che non
risolvi cambiando Stato. E poi: quanto conosciamo l’altro e i nostri figli? Il
lupo è nella difficoltà delle relazioni. Il finale è aperto.
Mi piacciono i finali aperti. E’ un libro di
sospetti, verso chiunque, dei lupi travestiti da agnelli. E’ anche un libro sui
silenzi, del figlio adolescente e della famiglia. Ed è un racconto universale,
come i casi recenti di Turetta o Larimar: sembrano ragazzi normali ma poi fanno
gesti terribili.
Narrazione avvincente, con tanti temi: relazioni con
i figli adolescenti, padre orfano adottato, madre che ha lasciato il suo lavoro
sacrificandosi per la famiglia. Belle le metafore. Mi ha ricordato Yehoshua.
Emblematica è la stretta finale del figlio alla madre.
Mi ha affascinata, ma anche angosciata. Mi sono
chiesta: perché la madre non ha mai voluto avere un dialogo diretto con il
figlio e con la scuola, perché non ha consultato uno psicologo? Uri è ambiguo,
un burattinaio.
Ci sono due mondi separati: gli ebrei e gli
americani. Uri insegna la guerra e il conflitto. Adam è un’ostrica, una figura misteriosa. Il tema
principale è il razzismo.
Avvincente. L’io narrante ti fa vivere la paura,
l’ansia e l’inadeguatezza dell’essere madre. Mentre la descrizione dei maschi è
sbilanciata. Lo sviluppo del finale l’ho trovato precipitoso e non mi è
piaciuto. Uri è pieno di ombre, ma non mi ha convinto molto, soprattutto il
fatto che sia riuscito a ingannare un suo commilitone. Il filo conduttore è la
paura insieme alle differenze. Ma anche l’evoluzione del ruolo genitoriale: non
si danno regole etiche, ma si fa più attenzione al benessere dei figli, si tende
sempre a giustificarli, provando sensi di colpa e di impotenza ed evitando di
scavare nei rapporti.
Racconta di una comunità israeliana trapiantata in
Usa, gente ricca, sempre pronta a individuare chi li perseguita. C’è ambiguità
perché non si vuole vedere le cose come sono. L’ansia della madre è
giustificata anche dal fatto che ha perso una figlia. Non comprende il rapporto
del marito con Uri e non fa nulla per evitare che il figlio lo segua ciecamente
perché spera che lo aiuti a superare l’isolamento. La loro è una vita fasulla,
superficiale, da americani
Mi ha colpito l’attenzione
per la scelta dei nomi (Adam significa “uomo”). La madre è così ansiosa perché
ha perso una figlia e poi è un po’ il cliché della mamma ebraica. Il marito è
orfano e in conflitto con il fratello minore. Uri ha anche aspetti positivi
tanto che anche Lilach cede al suo fascino. Uri e Michael forse sono entrambi
dei servizi segreti: il primo tradisce il secondo per Israele, mentre Michael è
ormai diventato americano
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